18 maggio 2017 18:24

Si è parlato molto, anche su Internazionale, di I am not your negro, il documentario di Raoul Peck su James Baldwin, film fondamentale per capire, se ancora qualcuno non l’ha capito, che la questione del razzismo va ripensata dal principio. Scappa. Get out, di Jordan Peele, è un thriller/horror che parla di Chris, un giovane aspirante fotografo, in partenza insieme alla fidanzata Rose per andare a conoscere i genitori di lei, che abitano in una grande casa immersa nella rigogliosa natura dello stato di New York. Tornando a Peck e Baldwin, Chris è nero, Rose e la sua famiglia bianchi liberal. E allora? Che problema c’è?

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È chiaro che il problema c’è, eccome. Dalle prime scene si capisce che non sarà il classico elefante nella stanza. I genitori di Rose non sembrano avere niente contro Chris. È proprio Chris, semmai, ad avere dei pregiudizi (alimentati dal saggio amico Rod, che lavora per la polizia aeroportuale). Niente paura, non dovremo assistere a una versione horror aggiornata di Indovina chi viene a cena?. Jordan Peele, il regista del film, ha alle spalle una lunga carriera come attore e comico televisivo, e sembra avere coscienza della questione razziale statunitense.

Come ha scritto Anthony Lane sul New Yorker, Peele ha ribadito che chi afferma che la società statunitense è “postrazziale” dice un’enorme fesseria. Get out è un film horror divertente, con delle belle trovate e alcuni classici del genere. Ma la sua forza principale è proprio quella di dire chiaro e tondo che il problema del razzismo è tutt’altro che superato, con buona pace di Sidney Poitier, Spencer Tracy e dell’ex presidente Barack Obama, che Peele ha ripetutamente interpretato nelle cinque stagioni dello show Kay & Peele. Insomma, per chiudere il cerchio con I am not your negro, Get out è da vedere non solo perché è un horror divertente con un bel cast, ma anche perché conferma che non basta un presidente afroamericano o un matrimonio misto per etichettare come “postrazziale” una società complessa come quella statunitense.

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A giudicare dalle recensioni della stampa statunitense, The dinner di Oren Moverman, lo zio (o il nipote) d’America di I nostri ragazzi di Ivano De Matteo – tutti e due i film infatti sono tratti dal romanzo La cena di Herman Koch – non è pienamente convincente. Forse uno dei motivi per vederlo è per fare dei paragoni tra il cast italiano e quello statunitense. Il ruolo interpretato da Alessandro Gassman è affidato nientemeno che a Richard Gere, mentre Luigi Lo Cascio, Barbora Bobulova e Giovanna Mezzogiorno diventano rispettivamente Steve Coogan, Rebecca Hall e Laura Linney. Per completare il giochino si potrebbe anche provare a esprimere qualche preferenza su chi è meglio di chi (qualche idea me la sono fatta ma me la tengo per me).

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Di Juan Antonio Bayona, autore di Sette minuti dopo la mezzanotte, ricordiamo un interessante horror, The orphanage, e una ricostruzione dello tsunami in Thailandia del 2004 nel non irresistibile The impossible. In tutte e due le pellicole il regista spagnolo aveva fatto notare una mano un po’ pesante. Nell’adattamento del classico per l’infanzia di Patrick Ness non fa niente per alleggerirla. Risultato: un mattone per gli adulti, una mattonata per i bambini.

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In uscita anche la commedia spagnola La notte che mia madre ammazzò mio padre e, direttamente da Cannes (sezioni parallele), Sicilian ghost story, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, e Fortunata di Sergio Castellitto con Jasmine Trinca, Stefano Accorsi e Alessandro Borghi.

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