04 ottobre 2016 20:16

Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, tira le fila del festival di quest’anno recuperando la sua suggestione sotterranea: la consapevolezza che c’è qualcosa che non va, unita al forte bisogno di organizzarsi, protestare, dire la propria con fermezza. È per questo che l’ultimo incontro del festival vuole concentrarsi sulla questione sociale in Europa e in America, attraverso le opinioni di Edwy Plenel, giornalista francese di lungo corso e fondatore di Mediapart, Bhaskar Sunkara, americano ventisettenne, fondatore di Jacobin Magazine, ed Abi Wilkinson, collaboratrice ventiseienne del Guardian. Li intervistano De Mauro e Chiara Nielsen, vice-direttrice di Internazionale.

Viene chiesto agli ospiti di raccontare cosa è successo nei loro paesi durante l’ultimo anno. Plenel racconta di una Francia diversa da quella che si legge nei giornali, in cui il fermento sociale è grande ed è semplicemente oscurato da una barriera creata appositamente per proteggere il potere istituzionalizzato: «il fremito che esiste nel paese e che non ha avuto sbocchi politici mostra che molti giovani vorrebbero un programma diverso rispetto alla politica della paura», afferma. «I neo-conservatori usano le emozioni di paura per mettere da parte la società ed essere così delegati a gestire la cosa pubblica senza interferenze».
Abi Wilkinson, dalla sua prospettiva di oltremanica, parla di due schieramenti divisi e difficilmente circoscrivibili: da una parte l’estrema destra, i promotori della Brexit, e dall’altra i laburisti, che a sorpresa hanno eletto Corbyn come loro leader. Ciò che è veramente interessante però, racconta, è l’ascesa di una serie di movimenti sociali molto vitali, nati dal basso: Occupy eMomentum, ad esempio, che sono in grado di intercettare anche i bisogni di chi non si sente più rappresentato dall’establishment. Farage («che si presenta come uomo del popolo, si fa fotografare con la pinta in mano per far vedere che è vicino alla gente») cerca di fare la stessa cosa, ma sfruttando «sentimenti e slogan populisti che in realtà appartengono alle élite».
«Io penso che questo sia il miglior momento per essere socialisti in America», dichiara Sunkara. Se Bernie non è arrivato più in alto lo deve molto alla sua età, ma Sunkara comunque non ha dubbi che «il movimento che ha sostenuto Sanders può esercitare un influsso molto più ampio e longevo del movimento alle spalle di Trump». Per la prima volta, conclude il giornalista, «abbiamo la possibilità di mettere appunto un’identità di movimento anti-establishment a sinistra del liberalismo, e forse allora il centro impedirà alla destra populista di conquistare il potere, fermando la sua deriva».

Chiara Nielsen introduce il tema della crisi della sinistra, che non riesce più a capire le trasformazioni in corso, e chiede agli ospiti se questa nebulosa di movimenti può dare un vero contributo per rifondarla. Plenel sottolinea come la questione verta sul recuperare un senso di umanità, in generale, perso dalla sinistra dopo il duplice fallimento delle socialdemocrazie europee e dello stalinismo. Oggi assistiamo allo spettacolo di «un vecchio mondo che non vuole morire» dice Plenel citando Gramsci, e possiamo solo andare avanti senza conoscere il cammino, accettando la sfida di civiltà che ci si propone senza aspettare rassicurazioni. Wilkinson puntualizza però che è compito della sinistra vedere le contraddizioni nei sistemi economici e trovare delle risposte, e adesso che la classe politica tradizionale tende a dimenticare questo ruolo sono i movimenti spontanei, nati dal basso, che possono fare pressione per spostare il dibattito sui temi importanti. Sunkara parla quindi di classe lavoratrice, «uomini e donne che insieme rappresentano la maggioranza e che si devono pensare come classe sociale: per uscire dall’impasse è necessario convincere tutti quelli che potrebbero cadere preda degli slogan populisti». Riallacciandosi al tema dei lavoratori, Plenel precisa che dal suo punto di vista bisognerebbe parlare, più in generale, in termini di minoranze: «il mondo operaio si può pensare come minoranza, ma anche le donne, i giovani, gli immigrati… è necessario sbloccare la questione senza irrigidimento identitario, difendendo l’umano e quello che stiamo diventando».

Si passa poi a parlare di Italia, e di come viene vista all’estero. Sunkara racconta che in America si parla poco di Italia, e che dal suo punto di vista quello che manca al nostro paese è una sinistra forte come quella spagnola o portoghese, anche se il vero problema è l’Europa, «una camicia di forza al cui interno è difficile attuare scelte veramente di sinistra». Plenel dice che per lui l’Italia è sempre stato il paese-laboratorio che dava avvio ai grandi cambiamenti, creando «un campo di rovine della vecchia politica» che però recentemente non si traduce più in politiche concrete. Wilkinson racconta che nel Regno Unito la maggior parte della copertura mediatica sulla politica italiana è riservata ai 5 Stelle, che sembrano avere diversi punti in comune con Ukip, tra cui «un leader carismatico, euroscettico, populista, senza una vera base politica».

Si passa poi a parlare del rapporto tra giornalismo e politica. Fondare un giornale è una forma subordinata di impegno, oppure è il vero modo di fare politica? Per Plenel il ruolo sociale del giornalismo è importante tanto quanto il diritto di voto, perché nasce dal diritto di sapere tutto ciò che è di interesse pubblico per fare una scelta veramente libera. La rivoluzione digitale in questo senso è una novità positiva perché «è l’agorà entro cui può nascere la sperimentazione di nuove forme politiche». «Il Jacobin nasce da un’idea di mondo migliore», replica Sunkara, basata però su valori normativi: «noi partiamo da alcuni punti fermi, ad esempio che lo sfruttamento è sempre sbagliato, la divisione in classi pure se una controlla l’altra, eccetera… È una visione normativa moralmente, non naturalmente: è sempre una scelta». Nielsen chiede a Wilkinson cosa possono fare i giovani, prime vittime di questo mondo dove il vecchio non si decide ad arretrare. «Abbiamo parlato tanto dei fallimenti del movimento sindacale, che non è riuscito a inglobare i giovani, ma io penso che nonostante tutto noi abbiamo il merito di proporre delle visoni nuove per problemi che esistono da quando esiste il capitalismo», risponde la giornalista.

L’ultima domanda è per Plenel: esiste una speranza, concreta, di fare qualcosa? «Holderlin diceva, “dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”. In questo periodo dobbiamo scommettere sull’imprevisto, sull’inatteso, sull’improbabile. Ci dobbiamo liberare dell’idea di volere delle garanzie», commenta il giornalista, e conclude: «per salvarci abbiamo bisogno di esempi ordinari… I grandi non hanno niente da insegnarci, mentre i vinti hanno salvato gli ideali che sopravvivono nelle piccole cose. Non sono gli eroi al di sopra di noi, ma i piccoli straordinari esempi dati da vite normali che ci possono aiutare e dare forza».

Alice Marsili

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