04 ottobre 2016 18:49

È un fenomeno che pur generando un allarme ormai costante viene affrontato in modo inadeguato dalla politica dei diversi stati che ne sono investiti, in particolare quelli europei.

Migrazioni, l’incontro tenutosi sabato 1 ottobre nell’ambito della decima edizione del Festival di Internazionale a Ferrara, ha offerto una fotografia dei flussi nel mondo.

Sono 250 milioni nel nostro pianeta le persone che vivono al di fuori del proprio luogo di origine e 35 milioni quelle che nell’ultimo anno si sono spostate per i motivi più diversi. Una significativa parte di questi sono migranti oppure rifugiati che provengono dal sud del mondo e hanno attraversato più di un confine.

Secondo Antonio Donini, ricercatore italiano affiliato al Feinstein international center (Fic) e al Graduate institute of international and development studies di Ginevra, l’approccio alla emergenza dei flussi migratori è stata in generale inadeguata e fallimentare. “La politica è stata incapace di gestire il fenomeno se non tentando di contrastarlo, le istituzioni non riescono a parlare con un senso di verità che vada oltre gli slogan, la società civile non si impegna a capire né a farsi sentire, a differenza di quanto avveniva ad esempio durante la guerra in Vietnam. C’è qualche spiraglio che può indurre ottimismo, ma siamo lontani da azioni concrete”.

Sorge spontanea la domanda che il moderatore dell’incontro Fabrizio Maronta, responsabile delle relazioni internazionali di Limes, rivolge ai relatori: ci stiamo abituando all’esistenza dei conflitti purtroppo ormai numerosi?

Toccante al riguardo la testimonianza della giornalista e regista francese Anne Poiret, recentemente incaricata dall’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) di realizzare una serie di documentari sui campi profughi in diverse zone dell’Africa e del Medio Oriente “Nati come soluzioni temporanee per ospitare rifugiati e migranti, i campi diventano permanenti, sino a divenire delle vere e proprie città per abitare le quali devi assumere una nuova identità, fatta di un nome e un numero che ti viene assegnato all’arrivo. Molte persone ci moriranno, non avendo possibilità di trovare un approdo alternativo”. Il più grande campo profughi dell’Africa si trova in Kenya. Nato 25 anni fa per ospitare i rifugiati somali, conta oggi 350mila abitanti ed è minacciato di chiusura dal governo in carica. “Anche in Europa c’è la tentazione di creare dei campi profughi” conclude Poiret facendo riferimento ad un primo esperimento in Grecia.

Ad Aurélie Ponthieu, consulente per le questioni umanitarie di Medici senza frontiere ed esperta di migrazioni forzate, impatto umanitario dei rifugiati e politiche di migrazione, Maronti chiede un commento sulle conseguenze dell’ingente spostamento di persone tra paesi e continenti. “La mobilità rappresenta una cruciale sfida umanitaria e, insieme, una crisi dei diritti. Per le persone che accogliamo da Nigeria, Somalia, Eritrea o che raccogliamo in mare andare via non è mai una scelta quanto piuttosto l’unica possibilità. Molti arrivano in Europa per vedere rispettati i propri diritti fondamentali, per ricerca di protezione e solo in seconda battuta per bisogno economico. Ogni tentativo di contenimento dei flussi non scoraggia gli spostamenti ma li indirizza verso rotte irregolari con soluzioni ben piu pericolose e illegali” afferma Ponthieu.”Anziché andare avanti torniamo indietro” conclude “puntiamo solo sulla deterrenza, chiudiamo le frontiere, non riusciamo ad adeguare la normativa, pretendiamo di scambiare migranti con rifugiati e richiedenti asilo politico senza definirne esattamente i requisiti, come è il caso del recente accordo tra Europa e Turchia. Neppure l’Onu ha messo in atto soluzioni efficaci. Quello che possiamo sicuramente testimoniare noi di MSF è la correlazione diretta tra chiusura dei confini e aumento della violenza. Non e più una questione di cifre ma di voler trattare le persone in modo umano”.

Diventa pressante, quindi, il tema dei ricollocamenti. Come ricorda Maronti, in Grecia, ad esempio, ci sono 50mila persone in attesa di una destinazione mentre si guarda a un futuro nel quale gli stati esercitano il potere con la delimitazione sempre più stretta dei propri confini e la messa in discussione del diritto dell’individuo alla mobilità.

Irene Marcello

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