04 settembre 2015 13:51

Per più di diecimila anni le tribù nomadi hanno vissuto liberamente nelle praterie dell’altopiano tibetano. Ma con i programmi di reinsediamento avviati della Cina, che spinge fuori i nomadi dalla loro terra d’origine, questa tradizione potrebbe diventare materiale da libri di storia.

Nel 2003 il governo cinese ha lanciato un’iniziativa che ha costretto i nomadi a trasferirsi nei villaggi di nuova costruzione in tutto l’altopiano. Il motivo ufficiale è quello di proteggere le sorgenti dei tre maggiori fiumi dell’Asia: il fiume Giallo, il fiume Azzurro e il Mekong. Le autorità di Pechino sostengono che gli ecosistemi contengono giacimenti di risorse naturali che sono danneggiate dal gran numero di animali che pascolano in queste zone. Ma altri lo vedono come un modo del governo per convincere la gente ad abbandonare la regione.

Il governo offre ai pastori nomadi l’accesso al mondo del lavoro, ma l’inserimento è difficile quando le competenze del pascolo non sono utili a nessuno. Anche l’istruzione è un motivo di preoccupazione, visto che i bambini tibetani vengono mandati alle scuole che insegnano il mandarino invece del tibetano.

Kevin Frayer, fotografo di Getty Images, uno dei pochi ad avere avuto accesso alle regioni montuose della provincia cinese di Qinghai, studia da due anni le minoranze cinesi e l’ultima parte del suo progetto è lo studio delle tradizioni nomadi tibetane. “Sono stato attratto da queste persone ai margini di questo paese che è così grande, complicato e in movimento”, spiega. “Una volta che tutto questo sarà finito, sarà finito. Rimarranno solo i vestiti colorati nei festival per turisti”.

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