04 maggio 2016 18:38

“È detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che è invece affiorato”. Così il filosofo tedesco Friedrich Schelling definisce nel 1835 un sentimento difficile da descrivere, anticipando di qualche anno la riflessione di Sigmund Freud sul perturbante.

Paura, spaesamento, stupore: Das Unheimliche (uncanny, in inglese) per Freud è qualcosa di familiare ma allo stesso tempo estraneo che suscita in tutti noi sensazioni di confusione che, a seconda della risposta individuale, possono assumere sfumature più o meno negative.

Con la mostra Magical surfaces: the uncanny in contemporary photography, organizzata dalla fondazione Parasol Unit di Londra (fino al 19 giugno), i curatori hanno voluto esplorare il perturbante attraverso le opere di sette autori: Sonja Braas, David Claerbout, Elger Esser, Julie Monaco, Jörg Sasse, Stephen Shore e Joel Sternfeld.

Ognuno di questi artisti hanno manipolato l’immagine fotografica interpretando in maniera diversa e personale il concetto di perturbante. David Claerbout riporta in vita un Elvis ancora non famoso con un’animazione in 3d fatta ricostruendo digitalmente una foto del 1956. Mentre i paesaggi di Julie Monaco e Sonja Braas potrebbero sembrare foto realizzate in maniera tradizionale ma sono invece il prodotto di elaborazioni al computer o partono da ricostruzioni artificiali con dei modellini. Le vecchie generazioni, Sternfeld e Shore, hanno raccontato il perturbante con mezzi più tradizionali, pellicole Kodahcrome e fotocamere analogiche, e sono riusciti a cogliere atmosfere che ancora oggi ispirano chi si confronta con l’arte fotografica.

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