10 maggio 2016 16:56

Flor Garduño disegnava molto e voleva diventare una pittrice. Ma mentre studiava alla scuola di belle arti di San Carlos, a Città del Messico, ha incontrato due persone che hanno segnato la sua formazione e cambiato direzione alla sua carriera.

Era il 1977 quando Kati Horna, la fotografa di guerra ungherese che aveva lavorato al fianco di Robert Capa, divenne la sua guida verso l’esplorazione del surrealismo e il femminismo in fotografia.

E poi c’era Manuel Álvarez Bravo, uno dei fotografi più importanti del Sudamerica: “Studiare con lui era come imparare a dipingere con Picasso”, scrive Evelyn Nieves sul New York Times. Garduño, appena ventenne, cominciò a lavorare come assistente di Álvarez Bravo in camera oscura e da lui apprese sia la tecnica fotografica sia l’approccio metodico e critico nel lavoro.

Oggi, a quarant’anni di distanza, Garduño è considerata una delle artiste più influenti dell’America Latina. Le sue immagini in bianco e nero ritraggono soprattutto nudi, volti, scene della vita e della cultura indigena, e still life.

Il museo di fotografia di San Diego, in California, ospita fino al 29 maggio la mostra Trilogy, che raccoglie quasi cento immagini scattate da Garduño tra il Messico, la Polonia e la Svizzera. L’esposizione è divisa in tre parti: Bestiarium sulla vita rurale nella campagna messicana; Mujeres fantásticas in cui esplora il significato di essere donna; e Naturalezas silenciosas che include invece still life più surreali.

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