05 settembre 2016 18:13

Una mostra al Jeu de Paume di Parigi (aperta fino al 25 settembre) ripercorre la carriera di Josef Sudek (1896-1976), fotografo cecoslovacco che con un approccio intimo e senza tempo ha raccontato i mutamenti del paesaggio praghese tra gli anni venti e gli anni settanta.

Nel periodo precedente la prima guerra mondiale, il giovane Josef Sudek è un rilegatore di libri, attività interrotta dalla chiamata alle armi per l’esercito austroungarico. Torna dal fronte con un braccio amputato, motivo che lo spinge ad abbandonare il mestiere di rilegatore e dedicarsi alla fotografia. Riceve una borsa di studio dalla scuola di arti grafiche di Praga, e lì tra la fascinazione per il pittorialismo e la sua passione per lo studio della luce, sviluppa uno stile che qualche anno dopo gli farà guadagnare l’appellativo di “poeta di Praga”.

Le immagini di Sudek racchiudono il suo rapporto con l’ambiente che lo circonda, che esplora come un vagabondo. Uomo discreto e solitario, Sudek esce solo di notte portandosi dietro una fotocamera di grande formato e la sua immaginazione. Raramente ritrae dei soggetti umani, preferendo spazi vuoti, urbani e rurali. Fotografa più volte la finestra del suo studio che osserva come una tela su cui fissare istanti di tenerezza, di speranza e di malinconia. Attraverso quel vetro Sudek contempla il mondo esterno.

Come molti artisti della sua generazione segnati dalla guerra, Sudek preferisce raccontare gli aspetti più oscuri e tormentati dell’esistenza. Lo scoppio di un’altra guerra e l’arrivo del comunismo lo portano a chiudersi ancora di più nel privato, dove trova rifugio nell’amore per la musica classica e in particolare per l’opera del compositore Leoš Janáček.

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