Perso in mezzo al nulla, sessanta chilometri a sud di Roma, il posto ha qualcosa d’irreale. Siamo nell’agro pontino – le antiche paludi pontine – che si estende a perdita d’occhio in tutte le direzioni, quando compaiono le prime indicazioni del museo storico Piana delle orme, dedicato alla storia locale della prima metà del novecento, dagli inizi dell’era fascista alla fine della seconda guerra mondiale. A metà strada tra il museo e il parco a tema, il luogo stupisce per le dimensioni: sedici padiglioni di 1.500 metri quadrati e uno spazio all’aperto in cui sono esposti dei vecchi modelli di aerei.

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Un’ottima vetrina

Questa struttura privata, immaginata dall’imprenditore siciliano Mariano De Pasquale (1938-2006), era il progetto di una vita e avrebbe potuto essere il semplice capriccio di un collezionista pazzo. Invece è un tesoro, sia per la ricchezza dei pezzi esposti sia per il modo in cui rappresenta la storia di quest’area, in particolare il capitolo affascinante della bonifica delle paludi, tra il 1928 e il 1932.

Qui cent’anni fa non c’era nulla a parte una terra spoglia e delle paludi insalubri, abbandonate fin dall’antichità a causa della malaria e attraversate dalla via Appia. In questa zona, mille chilometri quadrati tra il mar Tirreno e le montagne, dal sud di Roma fino a Terracina, le condizioni di vita dei pochi lavoratori stagionali erano terribili.

I tentativi di bonifica fatti dai papi e dai piemontesi dopo l’unità d’Italia non erano serviti. Per risolvere il problema, che riguardava anche altre aree, in particolare nella pianura del Po e in Veneto, i progetti e la tecnologia esistevano ma mancavano la forza lavoro e la volontà politica.

Per il regime fascista era il posto perfetto per dimostrare le sue capacità e allo stesso tempo l’incompetenza dei governi liberali che l’avevano preceduto. Le paludi pontine erano quindi un’opportunità per una prova di forza inedita. Quarantenne, dinamico, appassionato di velocità, Mussolini incarnava fisicamente la strada della modernità. Mentre la democrazia parlamentare, sfinita dalle lotte dietro le quinte e dalle promesse non mantenute, sprofondava nel discredito, il fascismo avrebbe dimostrato sul campo la sua efficacia. Le condizioni erano sfavorevoli? L’Italia del duce avrebbe ingaggiato una battaglia contro di loro, fino alla vittoria.

I lotti erano definiti in base alla qualità della terra: più era buona più erano piccoli

I padiglioni giganti di Piana delle orme si sviluppano su due rette parallele. Da un lato i resti dell’avventura della bonifica dell’agro pontino: fotografie, strumenti, trattori. Dall’altro quelli del conflitto mondiale: armi, equipaggiamenti e carri armati. Il tutto illustrato con manifesti di propaganda bellica. Come dimostrare meglio che la bonifica delle paludi è stata raccontata fin dall’inizio come una guerra? Le paludi pontine furono il teatro della “battaglia del grano”, proclamata nel 1925, che quattro anni dopo sarebbe diventata la “battaglia della terra”. Nel frattempo il governo lanciò altre offensive dello stesso tipo, in particolare la “battaglia della lira” e quella delle nascite.

La forza lavoro

In questa campagna Mussolini si schierò in prima linea, non esitando a mettersi in mostra. Si fece vedere a torso nudo mentre trebbiava il grano a Sabaudia nel 1935 o l’anno successivo alla guida di un trattore mentre scavava il solco che avrebbe tracciato i confini del comune di Aprilia, ripetendo il gesto leggendario di Romolo che segnò con l’aratro quelli sacri di Roma.

Una cartolina del 1933 sintetizzava bene il significato dell’operazione: sullo sfondo di una mappa stilizzata che definisce degli appezzamenti di terreno una spiga di grano si stagliava come una lancia. Il tutto sottolineato da uno slogan: “La guerra che noi preferiamo”. Gli eroi erano i contadini, chiamati a partecipare allo sforzo collettivo e il cui impegno fu paragonato a quello dei coloni romani dell’antichità. Ovviamente l’unico esito possibile era la vittoria.

Lo sforzo cominciò fin dai primi tempi dell’esperienza di governo fascista. Il 30 settembre 1923 fu promulgata una legge quadro per il risanamento delle paludi. Anche se non conteneva grandi novità, la legge si scontrava con l’opposizione dei proprietari locali, che erano riluttanti a investire e rifiutavano per principio gli espropri, anche se generosamente indennizzati. Ben presto questi proprietari riuscirono a ottenere la sospensione delle misure più ambiziose.

Benito Mussolini traccia il solco di Aprilia. Agro pontino, Lazio, 1936 (De Agostini picture library/Getty)

Mancando fondi privati e forza lavoro la bonifica delle paludi si bloccò. Nel 1926 il governo chiese all’Opera nazionale dei combattenti (Onc), un’organizzazione che aiutava i veterani della prima guerra mondiale e che funzionava un po’ come un ufficio di collocamento, di avere come priorità la valorizzazione delle zone paludose. L’Onc aveva molte persone da impiegare e i suoi componenti erano i primi sostenitori del regime fascista. In seguito l’Onc sarebbe diventato il braccio armato dell’intera opera di bonifica, ma in un primo tempo l’operazione tardava a mettersi in moto. Si dovette aspettare la fine del 1928 per il vero inizio della campagna di bonifica e l’adozione di una legge, presto chiamata legge Mussolini, che concedeva un gran numero di sovvenzioni statali per la bonifica.

Daniele Visentin vive ancora vicino all’ex canale Mussolini, oggi chiamato canale delle acque alte, nella frazione di Borgo Podgora, dove suo nonno è arrivato nel 1933 con la moglie e otto figli. All’epoca si trattava di lavorare a mezzadria un podere strappato alle paludi. “L’Onc gli aveva affidato il podere 562, costituito da sedici ettari di terra”, dice Visentin. “I lotti erano definiti in base alla qualità della terra: più era buona più erano piccoli. Quando la terra era nera, molto fertile, gli appezzamenti erano di dieci ettari. Quando invece ci si avvicinava al mare, e la terra diventava più argillosa, alcuni poderi potevano arrivare fino a venti ettari. Per ottenere un podere ci volevano quattro adulti in grado di lavorare”.

I Visentin sono originari della provincia di Treviso, in Veneto. “A casa quando ero piccolo tutti parlavano in dialetto veneto e questa è ancora la lingua che uso con mia sorella. Si dice addirittura che il dialetto che parliamo qui sia più puro di quello parlato in Veneto perché ha subìto meno influenze”, dice Visentin sorridendo. La maggioranza dei coloni dell’agro pontino arrivava dalle regioni più povere del nordest del paese: dai dintorni di Ferrara, in Emilia-Romagna, dal Friuli e dal Veneto. A Borgo Podgora, come altrove, la vita era dura e il controllo delle autorità severo. “Le famiglie dovevano lavorare sul posto”, continua Visentin. “Il fattore, stipendiato dall’Onc, entrava spesso in casa per controllare che nessuno barasse”. Legati alla terra come servi del medioevo, i coloni non avevano altra scelta che obbedire, altrimenti c’era il rischio di perdere tutto.

Deciso a valorizzare la vita in campagna, considerata più pura e sana, Mussolini aveva rifiutato in un primo tempo di costruire delle città nella zona. Poi, però, aveva finito per ammettere che alcuni servizi erano essenziali e che quindi bisognava edificare dei centri urbani. Così nacquero Littoria (l’attuale Latina), Aprilia, Sabaudia e Pomezia, che sarebbero diventate delle perfette vetrine per la propaganda. Queste città dall’architettura caratteristica, che in seguito hanno conosciuto uno sviluppo considerevole (con 120mila abitanti Latina è oggi il secondo centro urbano del Lazio), conservano ancora i segni delle loro origini. E qui il ricordo del periodo fascista è rimasto decisamente positivo. “C’è un attaccamento, è vero, ma penso che questo sia più affettivo che ideologico”, dice Visentin. “Dopotutto è Mussolini che ha offerto una terra ai coloni. E finita la guerra quello che era stato fatto si è dissolto con la Democrazia cristiana”.

A distanza di tempo la bonifica delle paludi è considerata dalla maggior parte degli italiani come uno dei risultati migliori del regime. Tuttavia, il bilancio dell’operazione spinge a riconsiderare quest’idea, al punto di chiedersi se quello che rimane a quasi un secolo di distanza non sia soprattutto il frutto di una magistrale operazione di propaganda.

Chinino e bugie

Torniamo alle cifre. Il progetto iniziale prevedeva di bonificare otto milioni di ettari di terra in tutta Italia. Nel 1933 il governo affermava di aver raggiunto i suoi obiettivi, annunciando di aver restituito all’agricoltura quattro milioni di ettari. Non era precisato che metà di questa superficie era stata bonificata solo in parte o che si era ancora allo stadio di progetto. Infine, per quanto riguarda le zone effettivamente bonificate, una buona parte lo era già stata prima del 1922. Lo storico del fascismo Renzo De Felice (1929-1996) ha definito i risultati della campagna contro le paludi “inferiori non solo alle previsioni del piano iniziale, ma anche alle speranze suscitate”.

Per un altro storico italiano, Francesco Filippi, autore di un saggio di cui si è parlato molto (Mussolini ha fatto anche cose buone, Bollati Boringhieri 2019), “più che bonificare e risanare le paludi, ci si preoccupò soprattutto di popolarle” con persone che sarebbero diventate riconoscenti. Per il resto secondo lui la battaglia della terra si rivelò soprattutto una “grande operazione pubblicitaria”, condotta con finanziamenti a fondo perduto, esenzioni fiscali, distribuzione di chinino contro la malaria e vantaggi di ogni sorta.

I combattimenti dopo lo sbarco statunitense ad Anzio, nel gennaio 1944, avrebbero compromesso gli scarsi risultati della battaglia della terra, causando danni dagli effetti catastrofici per l’ambiente: i soldati tedeschi durante la loro ritirata invertirono il flusso di alcune pompe di scarico e aprirono diverse dighe, provocando un nuovo afflusso di acqua salata e il ritorno della malaria. Nel 1945 era tutto da rifare.

In fin dei conti gli abitanti dell’agro pontino devono molto più alla Democrazia cristiana (Dc) e ai finanziamenti statunitensi che a Benito Mussolini. La Dc ha messo fine alla mezzadria negli anni cinquanta e ha consentito agli abitanti del posto di diventare finalmente proprietari. I soldi degli Stati Uniti hanno permesso di completare la bonifica delle paludi. La malaria è stata definitivamente sconfitta nel 1970, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, grazie a un altro regalo statunitense, il ddt. Ma nell’Italia del 2022 nessuno o quasi vuole parlare di queste eredità. ◆adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati