08 gennaio 2015 13:08

Il direttore di Le Monde Gilles Van Kote ha scritto questo editoriale per l’edizione del quotidiano in edicola questo pomeriggio.

Liberi, in piedi, insieme
Emozione, incredulità, ma anche ribellione e determinazione: le parole fanno fatica a esprimere l’ondata di shock che attraversa la Francia il giorno dopo l’attacco terroristico contro Charlie Hebdo. Uno shock che ci riporta, fatte le dovute proporzioni, a quello provato l’11 settembre 2001 dall’intero pianeta.

In pieno giorno, in piena Parigi, a sangue freddo, dei fanatici hanno vigliaccamente assassinato dei giornalisti, dei disegnatori, degli impiegati e anche dei poliziotti incaricati di proteggerli. Dodici morti, uccisi con fucili d’assalto, per la maggior parte nella redazione di questo giornale libero e indipendente.

In questo massacro, vittime di questa infamia, ci sono dei colleghi, degli amici: Cabu, Charb, Honoré, Tignous, Wolinski, e poi l’economista Bernard Maris. Da anni, da decenni, resistevano usando la caricatura, l’umorismo e l’irriverenza di fronte a tutti i fanatismi, attaccavano gli integralismi, denunciavano le imbecillità, prendevano in giro le istituzioni.

Da dieci anni erano minacciati e lo sapevano: degli invasati islamisti perseguitavano con il loro odio questi “blasfemi” che osavano prendere in giro il loro profeta. La redazione di Charlie Hebdo ha proseguito, senza cedere, senza battere ciglio. Ogni settimana, armata solo delle sue matite, ha continuato la sua battaglia per la libertà di pensiero e di espressione.

Alcuni non nascondevano la loro paura, ma tutti la superavano. Soldati della libertà, della nostra libertà, sono morti per questo. Morti per dei disegni.

Colpendo loro è la libertà di espressione – quella della stampa come quella di tutti i cittadini – a essere nel mirino dei loro assassini. È questa libertà di informare e di informarsi, di discutere e di criticare, di capire e di convincere, questa indipendenza, questo coraggio vitale della libertà che i loro assassini hanno voluto schiacciare con le loro pallottole.

Questo attaccamento alla libertà è al cuore della democrazia. Ma il sinistro commando jihadista ci ricorda crudelmente che per alcuni, oggi, la libertà di pensiero e di espressione è una minaccia intollerabile contro la legge di Dio che sognano di imporre. “È la repubblica nel suo insieme che è stata aggredita”, come ha detto il presidente François Hollande mercoledì sera. Quella repubblica aggredita nel suo motto, “Liberté, Egalité et Fraternité”, e nei suoi valori. Respinta nel principio di laicità e nel suo impegno a “rispettare tutte le fedi religiose o filosofiche”.

Attaccata nella sua volontà di far vivere il pluralismo delle convinzioni e delle coscienze. Aggredita, ancora, nella sua ambizione di essere indivisibile. Perché l’attentato contro Charlie Hebdo non è solamente un crimine, non cerca solo di seminare la paura nelle coscienze. È anche una trappola: vuole alimentare le divisioni, i sospetti, le diffidenze che attraversano la società francese e, come ha detto l’ex ministro della giustizia Robert Badinter, “scavare un fossato di odio tra le comunità che compongono la repubblica francese”.

È infine la Francia l’obiettivo, poiché il paese è in prima linea, solo o con i suoi alleati, nella guerra contro il jihadismo internazionale. Come accade da due anni in Mali e nella regione del Sahel, o negli ultimi mesi in Iraq e ai confini della Siria contro la barbarie dello stato islamico. Da ventiquattr’ore i tantissimi messaggi di sostegno dall’Europa, dagli Stati Uniti e da molto più lontano, e dalle redazioni del mondo intero, testimoniano che la comunità internazionale ne è perfettamente cosciente.

Di fronte a queste minacce il presidente Hollande, il suo predecessore Nicolas Sarkozy e, con loro, tutti i leader politici, lo hanno ripetuto: in questa prova la Francia deve unirsi, compatta, e restare unita nella difesa dei suoi valori, prevenire ogni confusione tra gli autori dell’attentato e tutti i musulmani, tra il fanatismo e la fede. I principali leader religiosi di tutte le confessioni hanno fatto un discorso simile.

Ma ora è fondamentale che questo consenso resista, domani, di fronte alla tentazione di trovare in questo dramma l’occasione di polemiche politiche. Tocca ai partiti politici mostrarsi all’altezza di questa sfida lanciata alla democrazia. Perché questa strage ci mette di fronte alla nostra responsabilita. Quella di non cedere alla tentazione liberticida e securitaria, alla stigmatizzazione di tutti i musulmani di Francia. E quella di rispondere a questo attacco contro la libertà e la convivenza con più coraggio e più intelligenza.

La reazione dei francesi dimostra che hanno capito tutto questo. È rassicurante. A decine di migliaia, da place de la République a Parigi al cuore di tutte le principali città del paese, sono scesi in strada spontaneamente per esprimere la loro emozione, la loro solidarietà, la loro indignazione, la loro volontà di fare fronte, insieme, in piedi, liberi. Il loro messaggio per riassumere tutti questi sentimenti è stato “Je suis Charlie”.

Sì, “siamo tutti Charlie”. Al di là della caccia all’uomo della polizia per ritrovarli, è la migliore risposta che possiamo dare agli autori di questo atto di guerra contro la Francia e contro i francesi. Lo dobbiamo alle vittime, ai nostri amici.

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