27 gennaio 2015 16:44

Questo testo è tratto da Olocausto (1975) un poemetto di Charles Reznikoff, completato poco prima di morire. Reznikoff (1894-1976) è stato uno dei massimi esponenti del cosiddetto oggettivismo. L’intero poemetto è stato pubblicato nel 2014 dalla casa editrice Benway Series nella traduzione di Andrea Raos.

Bambini

1
Una volta, tra i convogli, ce ne fu uno di bambini – due treni merci
pieni.
I giovani che selezionavano gli averi di quelli portati alle camere a gas
dovettero spogliare i bambini – erano orfani –
e poi condurli al “Lazarette”.
Lì le SS li fucilarono.

2
All’ospedale arrivò un grosso camion a otto ruote
su cui c’erano dei bambini;
sui due rimorchi – camion scoperti – c’erano donne malate e uomini
sdraiati sul fondo.
I tedeschi buttavano i bambini nei camion
dal primo piano e dai balconi –
bambini da uno a dieci anni;
li buttavano nei camion sopra i malati.
Alcuni bambini cercavano di attaccarsi ai muri,
graffiavano i muri con le unghie;
i tedeschi però gridavano
e picchiavano i bambini e li spingevano verso le finestre.

3
I bambini arrivarono al campo con degli autobus,
sorvegliati da gendarmi del governo francese di Vichy.
Gli autobus si fermarono al centro del cortile
e tutti i bambini furono tirati giù in fretta
per lasciare spazio agli altri autobus che arrivavano.
Spaventati ma tranquilli,
i bambini scesero in gruppi da cinquanta o sessanta fino a ottanta;
i più piccoli stavano attaccati ai più grandi.
Furono portati di sopra, in stanzoni vuoti,
senza mobili,
ma solo sacchi di paglia sporca sul pavimento, pieni di scarafaggi;
bambini piccoli, anche di due, tre o quattro anni,
tutti sporchi e laceri, perché avevano già passato due o tre settimane in altri campi
senza nessuno che si occupasse di loro;
e ora erano diretti a un campo di sterminio in Polonia.
Alcuni avevano una scarpa sola.
Molti avevano la diarrea
ma non avevano il permesso di andare in cortile
dove c’erano i gabinetti;
e, benché ci fossero vasi da notte nei corridoi di ciascun piano,
erano troppo larghi per i bambini più piccoli.

Anche le donne che erano deportate nel campo
e che stavano per essere condotte in altri campi
erano in lacrime;
dovevano alzarsi prima dell’alba
e andare nelle camerate dove stavano i bambini –
da cento a centoventi in ognuna –
per sistemare i vestiti dei bambini;
le donne però non avevano né sapone per pulire i bambini,
né biancheria pulita da dargli,
solo acqua fredda con cui lavarli.
Quando arrivava la zuppa per i bambini,
non c’erano cucchiai;
ed era servita in tazze di latta,
a volte però le tazze di latta erano troppo calde perché i bambini
potessero tenerle in mano.

Dopo le nove, nessuno – tranne tre o quattro che avevano un permesso – poteva stare con i bambini.
A quel punto ogni stanzone era immerso nel buio,
tranne una lampadina dipinta di blu secondo le istruzioni sull’oscuramento.
Di notte, i bambini si svegliavano
chiamando la mamma,
e allora si svegliavano a vicenda,
e a volte tutti nella stanza cominciavano a piangere
fino a svegliare anche i bambini nelle altre stanze.

Una volta un visitatore fermò uno dei bambini:
un ragazzino di sette o otto anni, bello, sveglio e allegro.
Aveva una scarpa sola e l’altro piede era nudo,
e il suo cappotto di buona qualità non aveva bottoni.
Il visitatore gli chiese come si chiamava
e poi cosa facevano i suoi genitori;
e lui disse: “Mio padre lavora in ufficio
e mia madre suona il pianoforte”.
Poi lui chiese al visitatore se presto avrebbe raggiunto i genitori –
ai bambini dicevano sempre che di lì a poco sarebbero partiti per raggiungere i genitori –
e il visitatore rispose: “Certo. Tra un giorno o due”.
Allora il bambino estrasse dalla tasca
un mezzo biscotto dell’esercito che gli era stato dato al campo
e disse: “Questa metà la tengo per la mamma”;
e a quel punto il bambino che era stato così allegro
scoppiò in lacrime.

4
Altri bambini, anche loro separati dai genitori,
arrivarono con degli autobus,
e furono fatti scendere nel cortile del campo –
un cortile circondato da filo spinato
e sorvegliato da gendarmi.
Il giorno della partenza per il campo di sterminio
furono svegliati alle cinque del mattino.
Nervosi, mezzo addormentati, la maggior parte di loro si rifiutò di
alzarsi e di scendere in cortile.
Delle donne – volontarie francesi, perché erano ancora in Francia – sollecitavano con gentilezza i bambini a obbedire – bisogna! – e a sgombrare gli stanzoni.
Nonostante questo, molti non volevano abbandonare i sacchi di paglia
su cui dormivano
e a quel punto entrarono i gendarmi,
e presero in braccio i bambini;
i bambini strillavano impauriti,
lottavano e cercavano di aggrapparsi l’uno all’altro.

5
Alcune sorveglianti della sezione femminile del campo di concentramento
mettevano sui camion i bambini piccoli perché venissero portati nelle camere a gas
e anche se per calmarli le sorveglianti cercavano di dargli delle
caramelle,
i bambini gridavano e piangevano: “Mamma, mamma”.

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