31 marzo 2015 13:10

Le prime pagine dei giornali non lo dicono, ma la Premier league inglese, – la massima serie del campionato inglese di calcio – piena di squadre schiacciate dai debiti che sono solo il giocattolo di qualche miliardario, sta ricominciando a registrare profitti.

Secondo i risultati economici provvisori dell’ultima stagione, quindici squadre su venti della Premier league hanno chiuso in attivo. L’utile netto complessivo finora è stato di 78 milioni di sterline (106,7 milioni di euro) per il 2013/2014, e i contributi maggiori sono arrivati dal Manchester United (in pdf) con quasi 24 milioni e dall’Everton con 28 milioni di sterline. Solo due squadre, il Manchester City e il Cardiff, hanno subìto perdite superiori ai cinque milioni di sterline. Questi dati contrastano con la perdita totale di 361 milioni di sterline (494 milioni di euro) registrata da tutte e venti le squadre solo quattro anni fa.

Cos’è cambiato? Sul piano dei profitti, nel 2013/2014 le casse delle società sono state rimpolpate da un nuovo accordo con Sky e con Bt Sport per i diritti televisivi nel Regno Unito: ogni partita ha fruttato in media 6,6 milioni di sterline (9 milioni di euro) rispetto ai 4,7 milioni della stagione precedente. In base al nuovo accordo l’ultima squadra della classifica, il Cardiff, ha ricevuto più soldi dalla Premier league nel 2013/2014 di quanto non abbia fatto il Manchester United l’anno prima, quando ha vinto il campionato.

Ci si poteva aspettare che questo aumento delle entrate avrebbe provocato un’ondata di irresponsabilità fiscale e di spese folli sul calciomercato. Invece nel periodo dei trasferimenti estivi del 2014 la spesa netta è stata di 392 milioni di sterline (536 milioni di euro), il 2 per cento in meno rispetto all’anno precedente, a causa delle regole sul fair play finanziario adottate dalla Premier league a partire dalla stagione 2013/2014. Le nuove regole hanno stabilito un tetto per le perdite che una squadra può subire (attualmente comprese tra i 15 e i 105 milioni di sterline nell’arco di tre stagioni) e chi le ignora rischia una penalizzazione. Le norme diventano ancora più rigide per le squadre che partecipano alle coppe europee. Per il momento sembra che il nuovo sistema funzioni.

Come se la cava la Premier league rispetto al resto del calcio europeo? Le venti squadre della serie A italiana hanno registrato una perdita complessiva di 53 milioni di euro nel 2013/2014. Solo otto hanno chiuso in attivo, ma alcune di queste hanno subìto un tracollo catastrofico nel campionato successivo.

Nella Bundesliga tedesca, che è regolarmente indicata come un esempio di buonsenso economico per via dei suoi biglietti a buon mercato e del suo modello di azionariato popolare, tredici squadre su diciotto hanno chiuso in attivo (in pdf) nel 2013/2014, con un profitto netto totale di 39 milioni di euro. La differenza principale tra l’Italia e la Germania sta nella distribuzione dei proventi dei diritti televisivi. Entrambe le leghe adottano criteri complessi per la spartizione delle entrate, ma in Italia la disparità è molto maggiore che in Germania o in Inghilterra, favorendo ulteriormente le squadre più ricche.

In Spagna non esiste una contrattazione collettiva dei diritti televisivi, quindi il Real Madrid e il Barcellona ricevono quasi la metà degli incassi che la Liga percepisce dai mezzi d’informazione. La situazione è completamente diversa negli Stati Uniti, dove i tetti salariali, la selezione annuale di nuove leve e le squadre chiuse servono a produrre una competizione più leale nelle varie discipline sportive.

Nessuna di queste misure sarà adottata nella Premier league. In fondo, perché cambiare una formula vincente? La lega inglese è invidiata in tutto il mondo per la sua capacità di trasformare il calcio in profitti. Tra qualche mese cominceranno le trattative per il rinnovo dei diritti di trasmissione all’estero, ed è previsto un altro aumento consistente delle tariffe.

Recentemente la Premier league ha sottoscritto un altro contratto ancora più ricco per i diritti televisivi, che entrerà in vigore nel 2016 e garantisce alle squadre un profitto medio di più di dieci milioni di sterline (13,6 milioni di euro) a partita. Di fronte a questo incremento degli utili, le squadre non avranno quasi più scuse per chiudere in rosso.

(Questo articolo è uscito su Quartz. Traduzione di Floriana Pagano)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it