01 luglio 2015 09:35

Il futuro dell’economia greca si deciderà nelle prossime ore. Il parlamento di Atene, dietro proposta del governo, ha convocato per domenica un referendum che lascia decidere ai greci se accettare o meno una serie di riforme chieste dai creditori come condizione per concedere nuovi aiuti.

Mentre continua a trattare con Bruxelles, il premier Alexis Tsipras, ha chiesto ai cittadini di votare no. Vari leader europei – tra cui il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e del parlamento Martin Schulz – hanno iniziato la campagna per il sì. Dalla mezzanotte di ieri la Grecia è insolvente verso il Fondo monetario internazionale, perché non ha versato l’ultima rata da 1,6 miliardi di euro che gli doveva. E ora? Cosa può succedere?

1. Accordo all’ultimo momento

I rappresentanti delle istituzioni europee e Atene stanno trattando per raggiungere un accordo e probabilmente un terzo piano di salvataggio che permetterebbe alla Grecia di ricevere altri prestiti, di ripagare il debito con il Fondo monetario e di restare nell’euro.

L’ultima offerta dei creditori (i paesi dell’Unione europea, la Banca centrale europea e l’Fmi) include un alleggerimento del carico del debito in ottobre, un termine più lungo per abolire i sussidi ai pensionati più poveri e un minore aumento dell’iva sugli hotel. Ma ad Atene non è bastata: chiede nuovi fondi e oggi l’eurogruppo deciderà se concederli.

2. Vittoria dei sì al referendum

Un altro percorso possibile per arrivare alla stessa destinazione, cioè all’accordo finale e allo sblocco dei fondi, è quello della vittoria del sì al referendum. Se alla consultazione di domenica prossima i greci decideranno di accettare il piano di riforme e di aiuti proposto dai creditori, le trattative si chiuderebbero il giorno dopo in modo positivo.

Sul piano economico la questione si risolverebbe in modo semplice: arriverebbe il prestito da Bruxelles e Atene sarebbe salva. Ma le conseguenze politiche sarebbero assai più complesse. Il premier Tsipras e il suo partito di sinistra Syriza – il più forte del parlamento – si sono spesi per il no. Tanto che il primo ministro ha annunciato le dimissioni nel caso il risultato del referendum lo contraddicesse. “Se i greci decideranno che dobbiamo essere umiliati con altri tagli, accetterò il loro parere, ma non sarò io a farli”, ha detto Tsipras in televisione. La questione è reciproca: anche i 18 paesi dell’eurozona forse non si fiderebbero che il programma venga attuato da un esecutivo che fino a poche ora prima lo rifiutava.

3. Vittoria dei no e uscita dall’euro

Niente accordo (né oggi né lunedì 6 luglio), niente prestiti, niente rimborso. Quindi: il default. Questo scenario aprirebbe un lungo periodo di incertezza e di crisi, che terminerebbe con l’uscita della Grecia dall’euro. Si tratta di qualcosa che ancora non è mai successo. Probabilmente la Banca centrale europea sospenderebbe il programma di sostegno agli istituti greci, vista la loro insolvenza.

Per un periodo (non si sa quanto lungo) i greci potrebbero accedere in modo limitato ai propri conti in euro. Intanto, la Banca di Grecia dovrebbe ricominciare a stampare le dracme. Ma con che valore? Probabilmente inferiore a prima, un fattore che comprometterebbe le importazioni dall’estero.

Certo, la rinuncia alla moneta unica e il ritorno alla valuta nazionale potrebbe avvenire anche in modo ordinato, “accompagnato” dalla Bce e con un negoziato che controlli l’inflazione. È un’ipotesi meno distruttiva, ma non eviterebbe un delicato periodo di passaggio dall’euro alla dracma.

Sui due scenari del punto 3, pende un’ulteriore incognita: la Grecia senza euro resterebbe nell’Unione europea? L’espulsione da parte degli altri stati non è prevista nei trattati e l’uscita consenziente è improbabile visto che i sondaggi dicono che i greci vogliono restare nell’Unione. Ma è difficile dire su quale base giuridica.

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