14 luglio 2015 20:03
Da sinistra il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Federica Mogherini e il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, a Vienna, il 14 luglio 2015. (Thomas Imo, Getty Images)

In quale modo l’accordo tra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare iraniano cambierà gli equilibri di potere in Medio Oriente? Otto esperti rispondono.

Arabia Saudita
L’Arabia Saudita ha avviato un vasto programma d’investimenti nel campo della tecnologia nucleare in vista dell’accordo tra gli Stati Uniti e il suo più feroce rivale, l’Iran, suscitando il timore di una corsa al riarmo nella regione. Ma, sottolineano gli esperti, un’escalation nucleare saudita metterebbe a repentaglio gli importanti rapporti di Riyadh con gli Stati Uniti. L’accordo con Teheran rischia comunque di complicare ulteriormente i rapporti della monarchia saudita con i suoi alleati del Golfo, oltre che con Washington.

L’accordo sul nucleare iraniano potrebbe mettere i dirigenti sauditi in una posizione difficile poiché alcuni stati del Golfo, come il Qatar o l’Oman, potrebbero rispondere alla progressiva normalizzazione dei rapporti con Teheran estendendo i propri legami economici e commerciali con l’Iran. Per Riyadh sarebbe quindi più difficile far convergere il Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) intorno a una posizione comune sull’Iran e i sauditi potrebbero quindi fare scelte politiche più unilaterali.

Tuttavia il lato pragmatico della politica estera saudita farà in modo che il divario con gli Stati Uniti non si allarghi troppo, in attesa che finisca il mandato del presidente Obama e che una nuova amministrazione statunitense assuma un atteggiamento diverso”.

Kristian Coates Ulrichsen, Kuwait fellow al Baker Institute della Rice University

Israele
Dopo essere stato per anni uno dei più accaniti avversari di qualsiasi avvicinamento dell’occidente all’Iran, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dovuto affrontare una crescente pressione interna con l’avvicinarsi dell’accordo. Ma la principale battaglia di Netanyahu non si combatterà a Tel Aviv ma a Washington.

Per molti questo è un brutto accordo dal punto di vista israeliano. L’opposizione criticherà Netanyahu per non aver trovato un modo di migliorarlo. Diranno che il primo ministro avrebbe dovuto porsi obiettivi più modesti e realistici, data l’importanza che i negoziati rivestivano per il presidente Obama.

In un primo tempo Netanyahu cercherà di spingere l’opinione pubblica statunitense a rifiutare categoricamente l’accordo, in vista del voto del congresso americano. Più in generale Netanyahu cercherà di respingere le accuse dell’opposizione israeliana usando come capro espiatorio la presunta ingenuità e la scarsa conoscenza del Medio Oriente di Obama.
La sua strategia dopo l’accordo sarà di continuare a cercare di influenzare il voto del congresso, provando a individuare possibili violazioni dell’accordo da parte dell’Iran e cercando di convincere Washington a reintrodurre le sanzioni.

In definitiva, Israele dovrà fare i conti con una nuova realtà: gli interessi statunitensi e quelli israeliani non sempre coincidono”.

Ofer Zalzberg, analista per il Medio Oriente all’International crisis group

Siria
Il sostegno al presidente Bashar al Assad nel corso di oltre quattro anni di guerra civile ha allontanto l’Iran dalle potenze occidentali. Dopo l’accordo, Teheran potrebbe decidere di togliere il suo appoggio al presidente siriano, facendone così uno dei principali sconfitti dell’intesa sul nucleare.

L’Iran sa che dopo l’accordo gli Stati Uniti hanno bisogno di rassicurare i loro alleati in Medio Oriente, in particolare l’Arabia Saudita. Altrimenti rischia di vedere riacutizzarsi i conflitti per procura nella regione che potrebbero mettere in pericolo l’intesa sul nucleare.

La rassicurazione più importante può arrivare dalla Siria, dove l’Iran potrebbe facilitare una transizione politica che escluda Assad. Ma questo non significa che l’Iran rinuncerà a influenzare il futuro della Siria, vista l’importanza geopolitica del paese per Teheran e per i suoi alleati nella regione, dalla Palestina all’Iraq.

L’uscita di scena di Assad non farà crollare la struttura economico-militare baathista ma potrebbe forse permettere iniziative diplomatiche più costruttive.

L’unica alternativa a questo scenario è un’ulteriore escalation, da ambo le parti, nella guerra per procura in Siria”.

Ibrahim Halawi, ricercatore alla Royal Holloway University di Londra

Yemen
La guerra in Yemen va avanti da più di tre mesi e ha già provocato la morte di migliaia di persone. I militanti houthi, che da dieci anni sono protagonisti di una rivolta nel nord del paese e che godono dell’appoggio dell’Iran, sono stati colpiti da una feroce campagna di attacchi aerei condotta da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita. L’accordo sul nucleare, che si accinge a fare uscire l’Iran dall’isolamento, potrebbe avere implicazioni positive per lo Yemen.

La guerra in Yemen non riguarda più lo Yemen. Anche con un Iran più responsabile, ci dovrà comunque essere un accordo più ampio tra Teheran e Riyadh.
L’accordo nucleare finirà comunque per avere un’influenza positiva: parte dell’intesa prevede che l’Iran dica agli houthi di comportarsi meglio. Teheran esercita infatti un certo potere sugli houthi, non necessariamente perché li controlli o li guidi militarmente. Inoltre l’Iran ha già molti impegni economici in Siria, in Libano e in Iraq e negli ultimi anni non ha potuto fornire grandi aiuti agli houthi. Tuttavia se mai questi ultimi dovessero dare retta a qualcuno, sarà proprio all’Iran.

In definitiva, l’obiettivo dell’accordo è fare dell’Iran un attore internazionale più responsabile. Mantenendolo isolato dal mondo, non è possibile chiedergli di comportarsi bene. Coinvolgendolo di più, la speranza è che collabori a portare avanti negoziati nei diversi fronti della regione”.

Farea al Muslimi, visiting scholar al Carnegie Middle East Center

Turchia
La Turchia, il grande vicino occidentale dell’Iran, ha pubblicamente espresso il suo sostegno all’accordo nucleare. Ma dietro le quinte è in corso un gioco più complesso.

Nei pensieri dell’Arabia Saudita aleggia lo spettro della Turchia. Riyadh vorrebbe che Ankara si comportasse come una potenza sunnita in grado di fare da contrappeso all’Iran. Per questo motivo è probabile che l’accordo sul nucleare spinga l’Arabia Saudita ad avvicinarsi alla Turchia per contrastare l’influenza regionale di Teheran.

La Turchia non è totalmente d’accordo con questa visione. Nonostante le relazioni tra i due paesi si stiano facendo più cordiali, il riavvicinamento è avvenuto più nei toni e nello stile che nei contenuti. Il divario tra le politiche estere dei due paesi riguardo ad alcune delle principali questioni regionali, come il colpo di stato in Egitto, rimane immutato.

Tradizionalmente, la Turchia e l’Iran hanno avuto rapporti al contempo di competizione e di cooperazione. A differenza dell’Arabia Saudita, la Turchia non considera l’Iran solamente un implacabile e minaccioso rivale regionale sciita. Allo stesso modo, al contrario dell’occidente, Ankara non riduce Teheran alla bomba atomica e all’estremismo teocratico. Al di là delle considerazioni politiche e di sicurezza, la Turchia vede l’Iran come un ampio mercato e un potenziale fornitore d’energia per il suo ambizioso obiettivo di diventare un giorno un grande centro di transito di carburanti. Per Ankara l’accordo sul nucleare potrebbe giovare a questi due settori.

Secondo la Turchia un maggiore coinvolgimento di Teheran nel sistema renderebbe il paese più responsabile e collaborativo, diminuendo l’insicurezza nella regione. Ma una simile aspettativa potrebbe rivelarsi infondata. Un’Iran rinfrancato potrebbe rivelarsi più inflessibile e deciso, contribuendo quindi a un peggioramento dei rapporti con Ankara”.

Galip Dalay, direttore di ricerca all’Al Sharq Forum di Istanbul e senior associate fellow per le questioni turche e curde all’Al Jazeera center for studies

Egitto
Il mercato azionario egiziano è cresciuto in maniera significativa nel fine settimana, rinfrancato dalle attese sull’accordo con l’Iran. Per i leader egiziani l’intesa potrebbe essere un’occasione per risolvere le tensioni decennali con Teheran, ma allo stesso tempo potrebbe turbare i rapporti del Cairo con un alleato chiave.

Le maggiori ripercussioni per l’Egitto di un accordo sul nucleare iraniano riguarderanno le sue relazioni con il suo principale alleato regionale, l’Arabia Saudita.

La revoca delle sanzioni permetterà all’Iran di sostenere economicamente e forse anche di intensificare il suo coinvolgimento nelle diverse crisi in Medio Oriente. Questo probabilmente aggraverà la rivalità tra Teheran e Riyadh.

L’Arabia Saudita potrebbe perciò chiedere un maggiore sostegno all’Egitto. Date l’entità e l’importanza del sostegno economico e politico che i sauditi forniscono al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, per quest’ultimo sarebbe difficile resistere a una simile richiesta.

Tuttavia Sisi dovrebbe valutare con attenzione la sua alleanza e i suoi impegni con Riyadh, data la riluttanza degli egiziani a farsi trascinare nei diversi conflitti regionali, anche in considerazione dei numerosi problemi che affliggono il loro paese”.

Sharif Nashashibi, giornalista e analista

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato su Middle East Eye.

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