20 gennaio 2016 18:12

Un tempo, quando tornavo da un paese lontano in aereo avevo l’abitudine di portare a casa un litro di un alcolico locale acquistato al negozio duty-free. I nomi ormai non li ricordo quasi più: un liquore zuccherino dal Brasile con un alberello nella bottiglia, una roba indiana imbevibile ricavata dalla linfa di un albero, un miscuglio greco in un contenitore di plastica che poteva avere un qualche vago legame con l’ouzo.

Queste delizie, di cui bevevo solo un bicchierino, nel corso degli anni andavano a finire sul fondo del mio mobiletto dei liquori. Poi, a un certo punto, per bisogno di spazio, mi facevo strada nelle profondità dello scaffale alla ricerca di una bottiglia da buttare via, e mi chiedevo cosa diavolo mi avesse fatto pensare che comprarla fosse una buona idea.

Oggi compro solo gin.

Un produttore di bevande francese si riferisce agli aeroporti come al ‘sesto continente’

I viaggiatori spendono ogni anno nove miliardi di dollari in alcolici acquistati al duty-free, secondo i dati raccolti da Iwsr, un centro di elaborazione dati relativi ai consumi di vino e alcolici. E tuttavia, i viaggiatori che volano in tutto il mondo non sembrano particolarmente desiderosi di provare qualcosa di nuovo. Secondo i dati di Iwsr, il sito di alcolici Vinepair ha ricostruito su una mappa le abitudini di acquisto dei viaggiatori in base alle zone geografiche.

Lo scotch è l’acquisto più diffuso in tutte le tredici regioni prese in esame, tranne quattro. In Asia, più della metà delle vendite di alcolici al duty-free riguarda il whisky; in America Latina la percentuale è del 41 per cento. Altri tipi di alcolici prevalgono solo in Europa centrale e orientale (si compra più vodka), in Messico (tequila) e ai Caraibi (rum). A quanto risulta, c’è una marca di whisky che da sola copre il 24 per cento del totale delle vendite di questo superalcolico al duty-free.

I duty-free sono molto importanti per i rivenditori, al punto che Pernod Ricard, un produttore di bevande francese, si riferisce agli aeroporti come al “sesto continente”. Un simile conformismo nelle nostre scelte potrebbe dipendere dal fatto che i grandi marchi si danno talmente tanto da fare per attirarci nell’“ora d’oro” compresa tra il superamento dei controlli di sicurezza e l’imbarco su un aereo che i prodotti locali hanno davvero poca visibilità. E questo è un peccato.

D’altro canto, imporre un prodotto locale e imbevibile ai viaggiatori potrebbe essere però aiutare a risolvere un altro problema: quello causato dalle persone che comprano alcolici al duty-free così da poter bere di nascosto in volo, provocando disordini. A quanto pare, si tratta di un problema talmente grosso che un vettore britannico, la Jet2, sta pensando di costringere i passeggeri a conservare i loro alcolici in sacchetti che non possono essere manomessi e che possono essere aperti solo con un utensile appuntito (e dunque dovrebbero essere impenetrabili su un aereo).

In alternativa, consentitegli di provare a ubriacarsi con la mia linfa di albero indiana. Ho il sospetto che un solo bicchierino li metterà al tappeto.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di B. R. è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

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