01 febbraio 2016 18:48

In Tasmania è in corso una tragedia. Gli incendi stanno devastando foreste patrimonio dell’umanità, riducendo in cenere alberi millenari e la fauna selvatica che vive in queste zone. Il fuoco ha già inghiottito centinaia di pini king Billy e cipressi, ultime vestigia di un ecosistema che un tempo si estendeva lungo il supercontinente Gondwana.

Le sacche residue dell’unico albero caducifoglie d’Australia, il nothofagus, che ha parenti diretti nelle Ande sudamericane, sono ormai a un passo dalla scomparsa. Contrariamente alle foreste d’eucalipto australiane, che usano il fuoco per rigenerarsi, queste piante non si sono evolute in maniera tale da poter vivere all’interno del ciclo naturale di grandi incendi seguiti da rinnovamento. Una volta bruciate, muoiono.

Per sfuggire a questo destino, crescono alle altezze più elevate sul plateau centrale dove il clima è troppo umido perché le fiamme attecchiscano. Ma una primavera e un’estate molto secche hanno trasformato in stoppe infiammabili anche le valli più umide di foresta pluviale e le paludi d’altitudine. Alla metà di gennaio una tempesta elettrica si è riversata sullo stato, scatenando degli incendi.

Un mondo ormai diverso

Simili fenomeni si sono già verificati in passato, ma erano estremamente rari, dice David Bowman, professore di biologia dei cambiamenti climatici all’università della Tasmania.

“Stanno morendo alberi millenari. Il suolo che brucia in questi giorni ha bisogno di più di mille anni per formarsi”, spiega Bowman. Se davvero stiamo assistendo a eventi che si presentano ogni mille anni, per un esperto di scienze forestali e di prevenzione degli incendi come Bowman sarebbe come “vincere alla lotteria”. Ma il mondo in cui viviamo è cambiato. “Siamo ormai in un luogo diverso”, dice. “Temo che dobbiamo semplicemente accettare l’idea che sia stato superato un punto di non ritorno. Ecco che aspetto hanno i cambiamenti climatici”.

Un segno evidente del cambiamento climatico è il fatto che questi incendi siano stati di origine naturale e non umana

Gli incendi sono stati preceduti e aggravati dalla simultanea presenza di due eventi climatici naturali: il dipolo (la variazione di temperatura sulla superficie dell’acqua) nell’oceano Indiano ed El Niño nel Pacifico. Il raffreddamento della parte orientale dell’oceano Indiano ha praticamente fatto cessare le piogge primaverili in Tasmania, solitamente torrenziali. E anche El Niño tende a provocare delle estati calde e secche. Questi fenomeni naturali solitamente si presentano nell’arco di decenni, se non di secoli. Già altre volte hanno avuto luogo simultaneamente, eppure le foreste non hanno preso fuoco.

In Australia e nel resto del mondo, il riscaldamento climatico provoca l’incremento d’incendi catastrofici. Un segno evidente del cambiamento climatico è il fatto che questi incendi siano stati di origine naturale e non umana. Secondo il modello climatico, era previsto che i fulmini aumentassero, sostiene David Lindenmayer, professore d’ecologia e biologia della conservazione all’Australian national university di Canberra.

Tra 1993 e 2003 il Parks and wildlife service (Servizio parchi e fauna selvatica) della Tasmania ha rilevato 17 incendi scatenati da fulmini. Nel decennio successivo il loro numero è salito a trenta. Nell’ambito di una valutazione del rischio d’incendio relativo all’area iscritta al patrimonio mondiale, il Parks and wildlife service ha dichiarato che i fuochi derivanti da fulmini non dovrebbero più essere considerati un evento “naturale”, data l’influenza dei cambiamenti climatici, concludendo che gli incendi causati da fulmini sono ormai diventati la principale minaccia alla sopravvivenza di tale area.

“È evidente che il ritmo degli incendi sta cominciando a cambiare”, osserva Lindenmayer. Nel vicino stato di Victoria i grandi incendi, che per natura si ripetono ogni 75-120 anni, si sono ripetuti ogni vent’anni nel corso dell’ultimo secolo.

“Era previsto”, dice Lindenmayer. “Ci saranno più incendi, su aree più ampie, con maggiore frequenza e intensità. Quello cui stiamo assistendo in Tasmania sarà parte di tale fenomeno”.

I territori selvaggi della Tasmania stanno al Gondwana, che si è disgregato 180 milioni di anni fa, come la grande barriera corallina sta al corallo, il più straordinario esempio di una meraviglia naturale in via di disfacimento.

È per questo che nel 1982 l’Unesco ha inserito un’ampia porzione dell’isola, un milione e mezzo di ettari, nella sua lista del patrimonio mondiale. Se si tiene conto del suo valore storico per gli aborigeni, quest’area racchiude più criteri di qualsiasi altro sito del pianeta per essere inclusa nel registro del patrimonio mondiale.

Capricci degli esseri umani

Per attraversare questo paesaggio straordinariamente vuoto occorrono settimane. Da bambino i miei genitori mi portavano spesso a camminare nelle foreste alpine degli altopiani centrali della Tasmania, tra cipressi frastagliati, paludi e laghetti di montagna. Mi raccomandavano di non camminare sui cushion plant (morbidi e folti tappeti vegetali, simili al muschio). Come i coralli della barriera, queste comunità di piccole piante nascono sugli scheletri morti dei loro predecessori al fine di creare quel tipo di grosse e strane forme tonde che un bambino di dieci anni ha voglia di calpestare passandoci sopra. Ma, così facendo, avrei distrutto centinaia di anni di minuziosa architettura. E per questo gli passavamo prudentemente e cautamente accanto.

Come per i coralli di tutto il mondo, i cambiamenti climatici minacciano nell’immediato queste formazioni vegetali che impiegano tantissimo tempo a svilupparsi.

L’inclusione della Tasmania nella lista Unesco è ancora considerata una delle più grande vittorie ambientaliste. Quanti avevano portato felicemente a termine la campagna speravano che questo ambiente sarebbe stato protetto dai capricci degli esseri umani per generazioni. Mai avrebbero pensato che la sopravvivenza dell’ecosistema del Gondwana sarebbe stata minacciata nel corso della loro vita.

Come molti abitanti della Tasmania, Bowman è un appassionato escursionista. “È un po’ come sapere che qualcuno che ami ha il cancro”, spiega. “Devi abituare il tuo cervello all’idea dell’inevitabile, immagino. Soffri e sei triste. Sarà molto difficile che tutto questo possa sopravvivere, soprattutto nell’arco dei prossimi cento anni. Mi sforzo di credere che tra cinquant’anni molto di tutto questo ci sarà ancora”.

Un funzionario dell’Unesco conferma che l’agenzia è molto preoccupata e ha richiesto informazioni al governo australiano a proposito degli incendi. Ma l’Unesco non ha voluto spiegare se è preoccupata per l’impatto a lungo termine dei cambiamenti climatici su questo territorio.

Le foreste sottoposte al taglio bruciano più velocemente e più facilmente

Ad altezze meno elevate, al di fuori della zona patrimonio dell’umanità, nella controversa area di Tarkine e nel nord dello stato, stanno bruciando anche delle foreste pluviali di vecchia data. Gli antichi boschi cedui di Tarkine, che formano la più grande foresta pluviale australiana, sono attraversati da un patchwork di foreste sottoposte al taglio della legna. Queste hanno bisogno di secoli per ricrescere dopo un incendio. E Lindenmayer sostiene che sia “evidente” che il taglio della legna le ha maggiormente esposte al rischio d’incendio.

La sua ricerca ha evidenziato che le foreste sottoposte al taglio negli ultimi quarant’anni bruciano più velocemente e più facilmente di quando crescono indisturbate.

“In tutta l’isola ci sono queste aree per il taglio del legname, che si riscaldano più facilmente e hanno più probabilità di bruciare”, secondo lui. “Questo rende più vulnerabili al fuoco le vicine aree non destinate al taglio del legname, dove a sua volta è più probabile che scoppino degli incendi”.

Situazione senza precedenti

“Fenomeni del genere coinvolgono le foreste pluviali in tutto il mondo”, dice Geoff Law, un ambientalista della Tasmania ed ex capo della Wilderness society. Secondo lui le previsioni a lungo termine di Bowman per le foreste del Gondwana sono “sconcertanti”.

“Ma, nel breve termine, c’è una crisi concreta che richiede una soluzione concreta: bisogna incrementare l’uso di aerei antincendio. Le pressioni dall’estero nei confronti del governo australiano potrebbero contribuire a raggiungere questo obiettivo”.

Le squadre antincendio della Tasmania stanno monitorando circa cento incendi in tutto lo stato, dando giustamente la priorità alla protezione degli edifici e delle vite umane. Gli ex leader dei verdi australiani, Bob Brown e Christine Milne, hanno scritto al governo di Malcolm Turnbull per richiedere un’assistenza antincendio dall’Australia continentale (Law, Milne e Brown hanno partecipato alla campagna originaria relativa alla diga di Franklin che ha portato alla creazione dell’area patrimonio dell’umanità).

Brown ha dichiarato ai microfoni della Abc che “la Tasmania ha appena attraversato la primavera più secca da quando esistono misurazioni, e in seguito il dicembre più caldo. A gennaio non è quasi piovuto. Siamo quindi di fronte a situazioni senza precedenti nella storia umana… causate dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo”.

Bowman spera che l’arrivo della pioggia possa aiutare il lavoro delle squadre antincendio. Ma, “in un certo senso, è abbastanza irrilevante che la pioggia arrivi e spenga o non spenga gli incendi. Se quel che sto dicendo è corretto, dovremo comunque fare i conti con la prossima e tutte le altre estati in un mondo che si sta facendo sempre più caldo”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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