12 febbraio 2016 11:34

Siamo al valico di frontiera di Bab al Salama, in Siria, il 9 febbraio 2016. Queste persone sanno come correre. Sono cinque anni che corrono e ora è di nuovo il momento di farlo. E quindi si sono alzate e hanno corso. E ora stanno solo aspettando che si apra una porta. È assurdo che stia ancora accadendo. Cinque anni e ancora succede. Cinque anni che in Siria c’è la guerra. E oggi ci sono ancora migliaia di persone ammassate al confine con la Turchia.

Stavolta stanno fuggendo dall’offensiva del governo e della Russia su Aleppo. Decine di migliaia di persone sono giunte fin qui, al confine con la Turchia, e ora si stanno ammassando vicino alla frontiera ufficiale, quella porta che gli permetterà di venir via dal loro paese distrutto dalla guerra.

Alla frontiera di Bab al Salama, il 6 febbraio 2016. (Bulent Kilic, Afp)

La Turchia, che accoglie già due milioni e mezzo di profughi siriani sul suo territorio, non ha ancora aperto quella porta. Le agenzie umanitarie hanno distribuito tende e scorte alimentari e, per ora, queste persone si limitano ad attendere pazientemente che la porta si apra. Ma tutto potrebbe cambiare in un istante.

Punto di svolta

Sono cinque anni che fotografo questa guerra e quello attuale è uno dei momenti più critici di questo conflitto. Un altro momento critico è stato quando i ribelli si sono impadroniti della strada principale tra la Turchia e Aleppo.

Adesso il regime e le truppe russe stanno cercando di riprendersi quella strada. È un’arteria cruciale, l’unica disponibile per chi ancora si trova ad Aleppo. Se il regime la riconquista, ci sarà un immenso esodo di persone in fuga che arriveranno qui, alla porta. Saranno in centinaia di migliaia ad arrivare. I ribelli e le loro famiglie.

E se la Turchia continuerà a non aprire la porta, si distribuiranno lungo le recinzioni di confine e riusciranno a superarle, come hanno fatto in passato.

Un bambino scavalca una recinzione alla frontiera di Bab al Salama, il 6 febbraio 2016. (Bulent Kilic, Afp)

Ero qui a giugno, quando le forze curde combattevano i jihadisti del gruppo Stato islamico per il controllo del villaggio di Tal Abyad. Mentre imperversavano i combattimenti, all’improvviso migliaia di persone sono apparse da dietro una collina e si sono riversate verso le recinzioni di confine, riuscendo a passare.Tutto è successo in pochi minuti.

È esattamente quel che succederà se altre persone arriveranno qui e la Turchia non aprirà la porta. Semplicemente riusciranno a passare. A dire il vero, c’è una differenza tra oggi e lo scorso giugno. Allora la gente stava letteralmente fuggendo da una guerra che infuriava a un chilometro di distanza.

Oggi scappa da combattimenti che per ora sono ancora lontani. L’equilibrio di potere sta cambiando e devono correre di nuovo.

Ma se migliaia di loro verranno e la porta non sarà aperta, andranno verso le recinzioni. E se in migliaia andranno verso le recinzioni, non c’è niente che si possa fare. Non è possibile sparargli mentre cercano di scavalcarla. La Turchia non avrebbe altra scelta che aprire la porta.

Un accampamento a Bab al Salama, il 6 febbraio 2016. (Bulent Kilic, Afp)

Immagino sia possibile dire che, per il momento, i profughi che si trovano qui non hanno lo stesso tipo di urgenza. O meglio, non che non ci sia un’urgenza, ma non è così disperata. Mi hanno tutti chiesto: “Quand’è che apriranno la porta? Quando?”.

Le risate sono un ricordo

Attualmente, il lato siriano della frontiera è molto affollato. Davvero molto affollato. La gente arriva in moto, in auto o a piedi. Le persone che oggi si trovano qui sono esauste, disperate, tristi. Davvero tristi. Ogni volta che ho fotografato dei profughi alla frontiera, in passato, c’era sempre una qualche forma di sorriso o scherzo. Non stavolta. Stavolta sono tutti davvero molto tristi.

Gli unici che ridono sono i bambini. Ci sono bambini dappertutto. Ogni famiglia ha due o tre bambini. Il posto è completamente pieno di bambini. Spezza il cuore vedere bambini in queste condizioni.

A Bab al Salama, il 6 febbraio 2016. (Bulent Kilic, Afp)

E non potete immaginare in quali condizioni queste persone stiano vivendo oggi. È pieno di gente. L’odore è a metà tra un gabinetto e una discarica. Un giorno, quando ero qui, pioveva e tutto il posto si è trasformato in una gigantesca pozza di fango. La situazione è davvero, ma davvero, difficile. Sono sicuro che molte persone sono malate. È davvero un posto insalubre.

Un’altra ondata diretta in Europa

Se ci sarà questo grande cambiamento, se cioè il regime e la Russia s’impadroniranno della strada e queste persone continueranno a farsi largo verso la Turchia, immagino che proseguiranno fino all’Europa. Perché sarebbero potuti venire in Turchia anche negli ultimi cinque anni ma non l’hanno fatto.

Prevedo quindi che riusciranno a passare. E in tal caso avremo un altro grande movimento di profughi in primavera ed estate. La Turchia subisce pressioni affinché non permetta ai profughi di continuare il loro cammino in Europa, ma non riuscirà a fermarli. Queste persone formeranno una nuova ondata.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Correspondent dell’Agence France-Presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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