17 maggio 2016 15:50

Ricordi i tempi delle superiori, i momenti di pazzia che hai vissuto e gli amici che ti sei fatto? Poi la vita è andata avanti e tu sei cresciuto, il tempo è passato e tu con lui, è arrivata l’università e poi hai cominciato a lavorare. Hai incontrato nuove persone e ne hai perso di vista altre.

Ora immagina che un giorno la guerra civile ti prende alle spalle, è vicina, è reale. Puoi sentire, annusare e toccare la morte e la paura, vedere armi nelle strade quando l’esperienza più ravvicinata che avevi avuto era stata giocando a Call of duty. A quel punto la gente aveva tre possibilità. Non potrei descriverle meglio di come ha fatto la mia amica Helena, una coraggiosa giornalista francese che ho incontrato a Tripoli nel 2011, quando la città si era appena liberata. Mi disse: “Dopo che i nazisti entrarono a Parigi, i francesi ebbero una grande libertà: potevano scegliere se accoglierli, resistere o restare neutrali. Tu cosa hai scelto quando gli abitanti di Tripoli si sono trovati di fronte allo stesso dilemma?”.

Battezzati dalla guerra

Be’, qui non è stato diverso, c’è chi ha scelto di stare con Gheddafi, chi ha scelto di combattere contro di lui e poi ci sono anche quelli neutrali, che sono rimasti a guardare. Passata la bufera, potevo incontrare qualcuno dei miei vecchi compagni delle superiori, ma erano tutti cambiati, persone diverse e battezzate dalla guerra, alcuni erano diventati leader di brigate, in alcuni casi molto importanti, altri hanno dovuto lasciare il paese perché avevano fatto la scelta sbagliata. Magari sono felice che i compagni di classe siano diventati dei pezzi grossi nel governo, ma per gli stessi motivi mi dispiace per il mio paese.

Molti dei miei amici hanno compiuto questo percorso. Uno di loro, una brava persona, era un imprenditore e gli era sempre piaciuto sentirmi suonare la chitarra. All’inizio non avevo notato nessun cambiamento, ma se stavo per un po’ con lui mi accorgevo che l’unica cosa che non era cambiata era il suo amore per la chitarra.

Quasi ogni storia che mi racconta finisce con gli altri (chiunque fosse con lui in quel momento) che muoiono e lui che scampa alla morte. A essere sinceri questo schema mi ha sempre messo agitazione. Tutte le volte che siamo insieme, e soprattutto se succede qualcosa, non posso fare a meno di pensare: e se questa diventasse per lui un’altra storia da raccontare? Il finale sarebbe sempre il solito.

I figli indesiderati della rivoluzione non possono fidarsi molto delle persone provenienti dal vecchio regime

Le scelte compiute nel 2011 hanno dato forma al futuro e plasmato il destino di queste persone. Chi ha imbracciato le armi ritiene di dover continuare, forse fino al giorno in cui il nuovo stato gli garantirà dei diritti e, su un livello più personale, per salvarsi la vita. Il mio amico non esce mai senza la sua 9 millimetri e il suo mitragliatore in auto. A volte c’è una granata nel cruscotto, ma bisogna dire la verità: il fatto che sia paranoico non significa che lì fuori non ci sia nessuno a dargli la caccia. Suo cugino e suo fratello, che si erano uniti a chi aveva le armi, sono stati assassinati l’anno scorso.

La granata portata da un amico del regista Khalifa Abo Khraisse in un bar di Tripoli, 2013.

I figli indesiderati della rivoluzione non possono fidarsi molto delle persone provenienti dal vecchio regime. Per tutti gli altri la guerra è finita, loro ce l’hanno ancora ben viva in mente.

“L’arma che userai solo una volta dovrai portarla con te per tutta la vita. I versi che ripeterai per tutta la vita sono scritti una sola volta”. Rasul Gamzatov.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo diario fa parte di una serie di articoli scritti da Khalifa Abo Khraisse per Internazionale.

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