21 luglio 2016 10:48

Era il terrorista più ricercato dell’Indonesia, responsabile di molti attentati. Santoso, noto anche come Abu Wardah, è stato ucciso il 18 luglio durante uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine nella jungla dell’isola di Sulawesi, dov’era nascosto insieme a un gruppo di uomini a lui fedeli.

Il leader dei Mujahidin dell’Indonesia orientale, che nel 2014 si era affiliato al gruppo Stato islamico (Is), era da cinque anni l’obiettivo di una meticolosa caccia all’uomo condotta da centinaia di poliziotti e militari. Il suo gruppo, trincerato nella foresta, conduceva attacchi asimmetrici, sul modello del gruppo jihadista Boko haram, che in Nigeria usa la foresta di Sambisa come copertura.

La conferma della morte di Santoso è stata presentata dalle autorità indonesiane come una grande vittoria. Il capo della polizia nazionale, Tito Karnavian, ha dichiarato che l’eliminazione del terrorista avrebbe “demoralizzato i sostenitori dell’Is” nel più grande paese musulmano del mondo.

Il capo dei servizi d’intelligence, invece, ha messo in guardia sul rischio di rappresaglie da parte dei compagni di Santoso, sospettato di aver addestrato alcuni combattenti uiguri provenienti dalla Cina e di aver stretto legami con i movimenti estremisti islamici attivi nelle Filippine.

L’analista Sidney Jones, che dirige l’Istituto di analisi politica dei conflitti di Jakarta, è prudente: secondo lei, la morte di Santoso non avrà un grosso impatto sulla violenza jihadista in Indonesia “perché il pericolo è legato a varie cellule ben radicate nelle città”.

Dopo gli attentati di Jakarta dello scorso gennaio il governo sa bene che sull’arcipelago pesa una minaccia latente. Il rischio è che una nuova generazione di terroristi indonesiani, alcuni dei quali sono passati anche per la Siria e l’Iraq, cerchi di rendere il paese una terra di jihad.

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