09 febbraio 2017 12:41

L’8 febbraio l’ex primo ministro Mohamed Abdullahi Farmajo è stato eletto presidente della Somalia. Il voto dei deputati del parlamento si è svolto a scrutinio segreto in un hangar dell’aeroporto di Mogadiscio, considerato il luogo più sicuro della città.

Farmajo, ex ambasciatore negli Stati Uniti (1985-1989) ed ex primo ministro (2010-2011), ha sconfitto al secondo turno il capo dello stato uscente Hassan Sheikh Mohamud, che ha concesso la vittoria al rivale, rinunciando al ballottaggio. In origine i candidati in lizza erano 21: tra loro c’era anche il primo ministro uscente Omar Abdirashid Sharmarke e l’ex ambasciatore in Kenya Mohamed Ali Nur.

Una volta entrato in carica, il nuovo presidente sceglierà il primo ministro, che nominerà il governo. Le priorità del nuovo esecutivo saranno garantire la sicurezza in un paese in guerra da più di 25 anni e minacciato dagli estremisti islamici di Al Shabaab, e combattere la corruzione. Ma c’è anche un altro pericolo in vista: le Nazioni Unite hanno lanciato un appello urgente per raccogliere aiuti umanitari visto che sulla Somalia si allunga l’ombra di una nuova carestia, a soli sei anni da quella del 2011 che causò 250mila morti.

Su Facebook Farmajo ha assicurato di volersi impegnare anche per favorire il rimpatrio della diaspora e rilanciare la ricostruzione somala dopo tanti anni di guerra.

Doppio passaporto
Come molti altri candidati alla presidenza, Farmajo ha la doppia cittadinanza somala e statunitense. Quartz fa notare che un terzo dei deputati del parlamento somalo eletto lo scorso ottobre sono anche cittadini di un altro paese, un dato che evidenzia la “deflagrazione” della Somalia. Due dei dodici milioni di somali vivono all’estero, mentre centinaia di migliaia hanno trovato asilo nei paesi occidentali.

Molti somali della diaspora negli ultimi tempi sono tornati nel loro paese d’origine per ricoprire incarichi nel governo e impieghi nel settore privato in virtù delle competenze acquisite all’estero (lo stesso Farmajo aveva lavorato come funzionario del dipartimento dei trasporti della città di Buffalo prima di tornare in Somalia nel 2010 per fare il premier). Ma il loro ritorno a volte non è stato visto di buon occhio da chi è rimasto a vivere nel paese anche durante la guerra.

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Un sistema complicato
L’elezione di Farmajo è stata il risultato di un lungo processo elettorale cominciato nell’ottobre del 2016. Queste elezioni si sono svolte con un sistema complesso, mai usato prima d’ora, che aveva ricevuto l’approvazione dei capi dei clan tradizionali in cui è divisa la Somalia. Le Nazioni Unite hanno definito il sistema “un trampolino di lancio” per accedere alla fase politica successiva. La speranza iniziale era infatti che i somali potessero eleggere direttamente e a suffragio universale il nuovo capo dello stato, come aveva promesso il presidente Mohamud. Già nel 2015, però, era risultato chiaro che un voto del genere non sarebbe stato possibile per questioni legate alla sicurezza.

La prima consultazione democratica in quasi cinquant’anni – le elezioni precedenti risalivano al 1969 – è cominciata a ottobre del 2016 con l’elezione dei 275 deputati della camera bassa del parlamento e i 54 della camera alta con un sistema di voto indiretto. Gli stati federali hanno nominato il 5 ottobre i parlamentari della camera alta, mentre 135 anziani dei clan tradizionali hanno scelto 14.024 delegati che hanno formato 275 collegi elettorali, ognuno dei quali ha nominato un deputato alla camera bassa. In seguito le votazioni per il presidente sono state rinviate quattro volte prima di arrivare alla data definitiva dell’8 febbraio.

Preoccupazioni per la sicurezza
Anche il voto dei parlamentari si è svolto in un hangar all’aeroporto di Mogadiscio, nel compound dove vivono diplomatici, operatori umanitari e soldati, mentre la capitale somala era paralizzata. La sera del 7 febbraio c’erano stati scambi di tiri di mortaio e combattimenti tra miliziani estremisti islamici di Al Shabaab e soldati dell’Unione africana appena fuori della città. Le autorità hanno ordinato lo stop al traffico e le strade sono state pattugliate dalle forze di sicurezza. Le scuole erano state chiuse e gli abitanti avevano ricevuto l’ordine di rimanere in casa.

Alla notizia dell’elezione di Farmajo migliaia di persone sono scese in piazza a festeggiare a Mogadiscio e in altre città, tra cui Baidoa e Beledweyne, ma anche nei quartieri a maggioranza somala della capitale keniana Nairobi. Farmajo è infatti ricordato per aver creato, nel corso del suo breve governo, una commissione anticorruzione, per aver introdotto stipendi mensili per i soldati e per aver fatto visita regolarmente ai campi profughi.

Il problema della corruzione
Ma la buona volontà espressa da Farmajo si scontra con una situazione poco incoraggiante. Secondo il New York Times, queste elezioni hanno raggiunto livelli di corruzione mai toccati prima d’ora, in un paese che è già all’ultimo posto nella classifica dell’ong Transparency international.

Secondo investigatori somali dell’organizzazione Marqaati, le tangenti pagate dai candidati alle legislative e alle presidenziali ammontano a circa 20 milioni di dollari. Anche forze esterne come la Turchia, il Sudan, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno sovvenzionato candidati alla presidenza nella speranza di poter concludere importanti contratti, diffondere una versione rigida dell’islam o spiare i soldati degli Stati Uniti, che di recente hanno rafforzato la loro presenza in Somalia per contrastare gli attacchi dei jihadisti di Al Shabaab.

Come si è arrivati alle elezioni
Nonostante tutti i suoi difetti, l’elezione di Farmajo segna comunque l’inizio di una nuova fase per la Somalia. Da quando il paese è sprofondato nella guerra civile nel 1991, il primo governo è stato formato nel 2000 a Gibuti, dove i capiclan e altre personalità somale di primo piano avevano eletto il parlamento e il presidente del governo nazionale di transizione, Abdiqasim Salat Hassan, che però non era riuscito ad assumere realmente il controllo né della capitale né del resto del paese.

Nel 2004, al quattordicesimo tentativo dal 1991 di dare vita a un governo centrale, era stato formato il governo federale di transizione, appoggiato da Nazioni Unite, Unione africana e Stati Uniti, che aveva prestato giuramento in Kenya e aveva eletto Abdullahi Yusuf come presidente.

Nel 2006 il parlamento si è trasferito a Baidoa, a 250 chilometri dalla capitale Mogadiscio, che nel frattempo era finita sotto il controllo dell’Unione delle corti islamiche (la milizia che in seguito è diventata l’organizzazione jihadista Al Shabaab). Alla fine dello stesso anno il presidente Yusuf è riuscito a entrare a Mogadiscio per la prima volta dalla sua nomina nel 2004.

Ma si è dovuto aspettare fino al 2012 perché il primo parlamento somalo si stabilisse definitivamente nella capitale. I deputati sono stati scelti da 135 capiclan. A settembre di quell’anno i parlamentari hanno nominato Hassan Sheikh Mohamud come presidente, nelle prime vere elezioni presidenziali dal 1967.

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