08 agosto 2017 08:47

Quando il 10 maggio il procuratore di Trapani, Ambrogio Cartosio, è stato ascoltato dalla commissione d’indagine del senato italiano sulle operazioni di soccorso delle ong nel Mediterraneo, ha parlato di un fascicolo investigativo, aperto dalla sua procura, in cui si ipotizzava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, a carico di “alcune persone fisiche appartenenti alle ong”.

All’epoca il procuratore di Trapani aveva escluso in maniera categorica che ci fossero stati contatti diretti tra i trafficanti di esseri umani in Libia e le organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo centrale, così come aveva negato che il reato contestato fosse di associazione a delinquere di stampo mafioso. E inoltre aveva spiegato ai senatori italiani l’importanza dell’articolo 54 del codice penale italiano, che stabilisce l’impunità per chi ha commesso un reato “costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave”.

Il procuratore aveva detto: “Se una nave di una ong, un mercantile, una nave della marina militare, un peschereccio, una privata imbarcazione viene messa al corrente che c’è un’imbarcazione in cui alcune persone rischiano l’annegamento, questa imbarcazione deve essere soccorsa. E questo principio travolge tutto. Viene commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma non è punibile, perché è stato commesso al fine di salvare una vita umana”.

“Non è una questione ideologica”, aveva ribadito Cartosio incalzato dalle domande del senatore Maurizio Gasparri, ricordando l’importanza di alcuni princìpi giuridici fondamentali: “Sul piano penale è un intervento legittimo quello per salvare una vita umana”. Cartosio aveva poi anticipato che proprio sulla definizione e sull’interpretazione dello “stato di necessità” si sarebbero giocati sia l’inchiesta sia l’eventuale processo per i presunti favoreggiatori dell’immigrazione clandestina.

Le accuse contro la Iuventa
Le indagini della procura di Trapani, guidata da Ambrogio Cartosio, sono andate avanti contemporaneamente all’approvazione di un codice di condotta voluto dal governo italiano per le ong attive nel Mediterraneo. Il codice, che prevede tra le altre cose la presenza di agenti armati della polizia giudiziaria a bordo delle navi, non è stato firmato da alcune organizzazioni, tra cui la tedesca Jugend Rettet.

Il 2 agosto il giudice per le indagini preliminari di Trapani Emanuele Cersosimo, accogliendo la richiesta della procura, ha emesso un decreto di sequestro preventivo della nave Iuventa della Jugend Rettet. La motopesca è stata scortata dalla guardia costiera italiana fino al molo di Lampedusa, prima di essere trasferita al porto di Trapani.

L’ipotesi di reato su cui la procura siciliana sta lavorando è quella di cui Cartosio aveva già parlato a maggio: favoreggiamento dell’immigrazione illegale aggravata, secondo l’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione 286 del 1998. I nomi dei sospettati non sono ancora noti e si procede contro ignoti. L’aggravante è data dal fatto che l’ingresso illegale ha riguardato più di cinque persone e la pena prevista per questo tipo di reato va da cinque a quindici anni di reclusione e una multa di 15mila euro per ogni persona che è stata favorita nell’ingresso in Italia.

Gli episodi contestati alla nave Iuventa sono tre

Il procuratore aggiunto di Trapani in una conferenza stampa ha spiegato che “gli episodi contestati alla nave Iuventa sono tre, avvenuti il 10 settembre del 2016, il 18 giugno del 2017 e il 26 giugno 2017”. Cartosio ha detto che durante questi episodi sono stati documentati dei contatti “tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e membri dell’equipaggio della nave”.

Un’attività per la quale, secondo la procura, i membri dell’equipaggio non ricevono alcun compenso dai trafficanti, “la motivazione riteniamo resti essenzialmente umanitaria”. Inoltre, secondo le indagini, gli operatori della Iuventa avrebbero lasciato alla deriva tre imbarcazioni, non distruggendole, e questo avrebbe permesso ai trafficanti di recuperarle. Le fonti dell’indagine sarebbero delle foto e dei video girati da alcuni agenti sotto copertura, imbarcati a bordo della nave Vos Hestia, dell’organizzazione umanitaria Save the children, attiva nello stesso tratto di mare.

Sempre secondo la procura, non ci sarebbero stati gli estremi dello stato di necessità per procedere a un’attività di soccorso, cioè non ci sarebbe stato un imminente pericolo per le persone soccorse, e per questo l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina rimarrebbe in piedi.

Un reato ad ampio raggio
In Italia il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è stato introdotto nel 1998 e colpisce chiunque aiuti dei cittadini stranieri a entrare nel paese in maniera irregolare, anche a scopi umanitari e senza lucro.

“È un reato molto particolare, perché è un reato di pericolo”, spiega l’avvocato Guido Savio, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Non solo punisce chi effettua il trasporto, chi finanzia, chi gestisce, chi organizza il traffico di esseri umani, ma anche chi aiuta l’ingresso e questo a prescindere dal fatto che l’ingresso si verifichi”. Questa seconda parte della norma comporta uno spettro molto ampio di applicazione.

Compie un’azione illegale chi aiuta il cittadino straniero ad arrivare sul territorio europeo per chiedere l’asilo?

L’avvocato Savio spiega che questa norma è problematica anche perché al momento non ci sono canali legali per chiedere l’asilo politico in Europa, se si risiede al di fuori del territorio dell’Unione. “Siccome non si rilasciano visti umanitari, è ovvio che i richiedenti asilo per esercitare un diritto – tutelato dalla convenzione di Ginevra e dalla costituzione italiana – non abbiano altra strada che venire in Europa in maniera irregolare”, spiega Savio, che domanda: “Compie un’azione illegale chi aiuta il cittadino straniero ad arrivare sul territorio europeo al solo scopo di chiedere l’asilo?”.

Ma la questione più discussa dai giuristi che contestano le accuse dei pm siciliani contro la Iuventa è quella che riguarda il cosiddetto stato di necessità. Secondo l’avvocato Luca Masera dell’Asgi, è la prima volta che viene ipotizzato un reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di membri di un’organizzazione non governativa, perché è sempre stato riconosciuto lo stato di necessità a chi opera soccorsi in mare. “Se io soccorro qualcuno che è in una situazione di pericolo, il reato di favoreggiamento esiste, ma non è punibile in quanto si è agito per tutelare la vita di chi era in pericolo”, ribadisce Masera.

L’impianto accusatorio della procura sostiene però che ci sia stato un accordo preventivo tra gli scafisti e gli operatori umanitari, il che farebbe decadere lo stato di necessità. Tuttavia, sostiene Masera, “un’interpretazione più estensiva dello stato di necessità” potrebbe arrivare a coprire anche una condotta come quella denunciata dalla procura di Trapani a carico della Iuventa. Un gommone sovraccarico di persone, anche in condizioni meteorologiche e marittime stabili, può essere considerato insicuro, perché potrebbe capovolgersi da un momento all’altro e questa condizione potrebbe determinare uno stato di necessità.

C’è da tener presente anche la legge del mare, in particolare la convenzione di Amburgo del 1979 

“È vero che il mare era calmo nel momento in cui sono stati operati i soccorsi nei tre episodi contestati, ma come si può considerare una situazione sicura quella in cui centinaia di persone sono imbarcate su un gommone sovraccarico che potrebbe da un momento all’altro sgonfiarsi e naufragare?”, chiede l’avvocato Savio.

Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo della clinica legale dell’università di Palermo, lo stato di necessità e di pericolo delle imbarcazioni non dipende dalle condizioni meteorologiche, ma dalla galleggiabilità del mezzo. “Quei gommoni non sono in condizioni di galleggiabilità nemmeno quando il mare è calmo, come è testimoniato da decine di persone che hanno fatto la traversata del Mediterraneo e dal numero dei morti registrato in quel tratto di mare”, spiega Paleologo.

Inoltre la legge del mare, in particolare la convenzione di Amburgo del 1979 sui soccorsi, stabilisce l’obbligo di intervenire in aiuto di un’imbarcazione in difficoltà. “Se quelle navi sono intervenute per ottemperare a un obbligo di soccorso, non possono essere incriminate per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, aggiunge Masera. “Esistono delle legislazioni internazionali che non possono essere ignorate e che sono più forti della singola legislazione nazionale o addirittura dei regolamenti governativi come il codice di condotta, che in questo caso non hanno nessun valore”, conclude Masera.

La distruzione dei gommoni
Uno degli elementi in mano ai pm di Trapani è la foto che mostra un gommone di soccorso della Iuventa trainare un barcone vuoto, dopo i soccorsi. Ma su questo punto, secondo i giuristi, ci sarebbero molte ambiguità. “Non c’è nessuna norma che obbliga i privati cittadini e gli operatori delle organizzazioni delle ong a distruggere i gommoni o le imbarcazioni usate dai trafficanti”, spiega l’avvocato dell’Asgi Guido Savio. “La mancata distruzione delle imbarcazioni può essere un’indicazione di contiguità con gli scafisti, il che non significa che sia stato commesso un reato”, continua Savio.

Ci sono invece norme europee che obbligano i mezzi navali di Frontex e quelli della missione Sophia di EunavforMed a distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti, spiega Fulvio Vassallo Paleologo. “Il fatto che i gommoni non siano più distrutti dimostra che i mezzi di Frontex e della missione Sophia non sono più presenti in quel tratto di mare, perché si sono ritirati molto più a nord”, dice Paleologo.

Gli interventi della guardia costiera italiana avvengono negli stessi scenari contestati alla nave Iuventa

Secondo l’avvocato dell’università di Palermo, è molto comune nei soccorsi in mare che le barche dei migranti siano scortate da imbarcazioni di scafisti e da imbarcazioni della guardia costiera libica che sono difficili da distinguere tra loro, perché non hanno particolari segni di riconoscimento. “Ci sono delle fotografie che mostrano la guardia costiera italiana che interviene in soccorso di barche, negli stessi scenari contestati alla nave Iuventa della ong Jugend Rettet”, afferma Paleologo e chiede: “Eventi di questo tipo si sono verificati solo per la Iuventa o non sono forse lo scenario abituale nel quale hanno operato tutte le navi delle ong e della guardia costiera italiana coinvolte nei soccorsi?”.

Paleologo, infine, solleva un’altra questione: “Dalle dichiarazioni rese dal procuratore di Trapani in conferenza stampa il 2 agosto non sembra risultino tabulati telefonici contenenti comunicazioni dirette tra scafisti o trafficanti e componenti dell’equipaggio della Jugend Rettet, né tantomeno versamenti di danaro o altre utilità da parte dei trafficanti. Emerge solo la contestazione dell’utilità indiretta, cioè il fatto di raccogliere fondi attraverso la pubblicità per i soccorsi in mare effettuati. Questo tipo di utilità è già stata contestata in passato ad altre organizzazioni, che sono poi state assolte nel processo, per esempio la nave Cap Anamur nel 2009 e più recentemente l’associazione italiana Ospiti in arrivo di Udine”.

L’altro elemento sul quale insistono molto i pm di Trapani è l’ipotesi che la Iuventa non abbia coordinato il suo intervento con le autorità italiane. “Si presume l’esclusione dell’articolo 51 del codice penale, la norma che garantisce l’impunità se si opera alle dipendenze dello stato, in coordinamento con la guardia costiera italiana”, conclude Paleologo. Su tutti questi punti che rimangono in sospeso sarà il processo a fare chiarezza, ammesso che il giudice rinvii a giudizio gli imputati, che per il momento non sono ancora stati identificati.

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