04 dicembre 2015 12:41

Negli ultimi quindici anni, in Venezuela, l’opposizione ha vissuto ogni appuntamento elettorale come se si trattasse della battaglia decisiva. Anche il chavismo, che usa a suo piacimento le abbondanti risorse dello stato e che si è tenuto in piedi grazie alla leadership di Hugo Chávez, ha affrontato le elezioni con spirito combattivo, ma quasi sempre convinto di vincere. Questa è stata la regola generale. Ora la situazione è diversa. Il paese è in crisi, le risorse per la campagna elettorale sono limitate e Nicolás Maduro è chiaramente un leader impopolare.

I sondaggi più recenti di Datanálisis parlano di un vantaggio dell’opposizione di 35 punti, e pochi oggi dubitano di una sua vittoria schiacciante alle elezioni parlamentari del 6 dicembre. Una vittoria che però non si rifletterà automaticamente sul numero dei deputati.

In Venezuela il malcontento è diffuso e aumenta ogni giorno, Maduro ha fallito come leader

Di solito, nei sondaggi per le presidenziali il candidato favorito è anche quello che poi vincerà. Invece le elezioni parlamentari, che servono per scegliere i 165 deputati dell’assemblea nazionale in decine di circoscrizioni elettorali, sono un mosaico composto da fotografie diverse, non tutte favorevoli alla tendenza predominante.

Secondo Luis Vicente León, presidente di Datanálisis, è improbabile che il chavismo riesca a recuperare il suo svantaggio. Quindi il problema non è come vincere, ma come perdere.

L’opposizione aspira alla conquista della cosiddetta maggioranza qualificata di 99 seggi, che consentirebbe un ricambio dei poteri pubblici e la riforma della costituzione per limitare il ruolo presidenziale. Il chavismo vuole impedirlo. Maduro ha detto che la sua squadra deve vincere “in ogni modo”, e molti l’hanno interpretato come un’ammissione della sua debolezza.

“In condizioni normali l’opposizione dovrebbe ottenere la maggioranza qualificata, ma al di là delle circoscrizioni, il chavismo continua a controllare diversi fattori. Ha potere istituzionale, capacità di mobilitazione e risorse per ricattare i suoi elettori. Sono tutti fattori che impediscono di trasformare la maggioranza dei voti in una maggioranza di seggi”, osserva Léon.

Fattori di malcontento

Il governo perderà la maggioranza, non c’è dubbio. Ma bisognerà vedere quanti seggi perderà con precisione. “Nell’attuale crisi, una sconfitta di dieci punti sarà relativamente favorevole al governo, che la spaccerà per un successo”, dice León. Può anche darsi che, viste le pressioni nazionali e internazionali, il chavismo accetti di perdere l’egemonia mantenuta al parlamento per dieci anni, sperando di limitare i danni per garantirsi la sopravvivenza. Ma nemmeno questo è detto.

In Venezuela il malcontento è diffuso e aumenta ogni giorno. Maduro ha fallito come leader e oggi è un peso morto per i candidati del suo schieramento. Per questo ha brillato per la sua assenza in campagna elettorale. Non ha funzionato neanche ricordare all’elettore chavista che è stato Hugo Chávez, ancora molto popolare, a dargli il diritto di voto.

L’inflazione colpisce gli stipendi e la mancanza di beni di prima necessità ha reso la vita una via crucis quotidiana. Anche se in diverse occasioni Maduro ha annunciato misure economiche per riattivare un’economia totalmente dipendente dal petrolio, non è successo nulla. L’aumento della povertà, l’incompetenza, l’insicurezza e la corruzione sono un conto salato che Maduro e la nomenclatura al governo dovranno pagare.

Chávez è stato un vigliacco quando si è trattato di affrontare le grandi battaglie

Lo stesso Chávez, che i suoi sostenitori più ferventi chiamano “il gigante” e “il comandante eterno”, è stato travolto da questo malcontento. Roland Denis, una figura nota della sinistra radicale venezuelana, ex viceministro di Chávez, in diversi articoli diffusi attraverso il portale Aporrea ha detto che Maduro e il suo entourage sono una mafia. Ma non si è fermato lì.

A ottobre ho pranzato con Denis che, guardando in retrospettiva, ha criticato Chávez per non aver agito con decisione dopo aver annunciato “un colpo di timone” per riformare il suo governo. Poi si è domandato: “Perché un uomo che sa che sta per morire non parla chiaro al paese?”. La conclusione di Denis è stata perentoria: “Nonostante la sua enorme autorità e leadership, Chávez è stato un vigliacco quando si è trattato di affrontare le grandi battaglie. In nessuno dei momenti che ha definito la sua carriera politica, come quando guidò il golpe del 1992 o quando uscì vittorioso dal colpo di stato contro di lui, nel 2002, è arrivata la svolta che lui stesso preannunciava”.

Voto di punizione

Oggi il chavismo è molto diverso da tre anni fa. C’è un logoramento al vertice e ci sono conflitti tra fazioni che aspirano a mantenere il potere. Nel frattempo le basi sono sempre più critiche nei confronti del governo e di leader di dubbia integrità. Questa situazione ha generato una crisi di identità che il 6 dicembre si tradurrà in un voto di punizione.

Denis è anche convinto che l’opposizione vincerà di larga misura le elezioni parlamentari. Di conseguenza, prevede che i conflitti interni al chavismo esploderanno portando a una crisi.

In vista di una sconfitta forse schiacciante, Maduro ha promesso di far scendere il popolo e i militari in piazza se la rivoluzione sarà in pericolo. Non c’è bisogno di grande fantasia per sapere dove possono portare queste minacce. I fatti parlano da sé. Secondo il portale Infobae, dall’inizio di novembre ci sono stati otto attacchi di presunti gruppi filogovernativi contro militanti e dirigenti dell’opposizione. Diversi attacchi sono stati sferrati da milizie paramilitari dotate di armi d’assalto.

L’ultimo risale al 25 novembre, durante un incontro politico organizzato dall’opposizione a Altagracia de Orituco, nello stato di Guárico, quando è stato ucciso a colpi di arma da fuoco Luis Manuel Díaz, dirigente locale del partito dell’opposizione Acción democrática.

Nonostante gli appelli alla pace di personalità come Luis Almagro, segretario dell’Organizzazione degli stati americani (Oea), lo spettro della violenza tormenta ancora una volta il Venezuela. Tutti i poteri democratici dell’America Latina dovrebbero unirsi per scongiurarlo.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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