29 giugno 2016 12:18

“Grazie Brexit”, è il titolo di un’email spedita pochi giorni fa dal commissario di Dublino per le startup.

“Grazie alla Brexit abbiamo nuove opportunità per attirare imprenditori più o meno esperti, convincendoli ad aprire nuove attività a Dublino”, prosegue l’email dell’organizzazione incaricata di promuovere l’attività delle startup tecnologiche nella capitale irlandese. “La Brexit porterà opportunità, non sprechiamole”.

Londra è da sempre la destinazione preferita delle startup in cerca di una base europea, ma ora questo status è in pericolo e altre città si fanno avanti come valide alternative. Oltre a Dublino ci sono Berlino, sede di aziende di successo come Rocket Internet e SoundCloud, Amsterdam, dove è nata l’azienda di pagamenti Adyen, e Stoccolma, con i suoi Spotify e Mojang, la casa produttrice di videogiochi famosa per aver creato Minecraft.

Queste città hanno buoni motivi per approfittare della separazione del Regno Unito dal blocco europeo. La forza lavoro proveniente dall’Ue offre un importante contributo alle startup tecnologiche britanniche. Con la Brexit e la possibile fine della libera circolazione per i cittadini dell’Ue in cerca d’impiego, le startup britanniche si trovano prive dei lavoratori necessari alla loro crescita.

Nelle startup britanniche un lavoratore su tre viene dall’estero

Secondo una ricerca di Wayra, un incubatore di startup di proprietà dell’azienda di telecomunicazioni spagnola Telefonica, nelle startup britanniche un lavoratore su tre viene dall’estero. Quel 34 per cento è diviso tra un 20,7 per cento di lavoratori provenienti dell’Unione europea e un 13,3 di cittadini di altri paesi: in questi casi si tratta soprattutto di persone provenienti da Irlanda, Stati Uniti e Spagna.

Alcune delle stelle più brillanti del firmamento londinese delle startup stanno già prendendo misure concrete per rispondere alla Brexit. Lo statunitense Damian Kimmelman, fondatore di DueDil, un’impresa di Londra che si occupa d’informazioni aziendali, ha dichiarato a Forbes che non può mettere in pericolo i piani d’espansione della sua azienda a causa di una mancanza di riserve di talento. “Stiamo crescendo velocemente e non vogliamo compromettere la nostra espansione solo perché dovremmo assumere personale britannico”, ha spiegato. “Da oggi in poi siamo un’azienda internazionale, non britannica”.

Taavet Hinrikus, il cofondatore estone della società di trasferimento di denaro TransferWise (una delle rare startup del Regno Unito ad avere una valutazione di oltre un miliardo di dollari) ha dichiarato a The Guardian che è improbabile che la sua azienda continui ad assumere personale nella sede di Londra. Il numero dei dipendenti dell’azienda è salito da 40 a 400 in meno di tre anni.

Tecnofinanza in pericolo
Vale la pena osservare le mosse di TransferWise non solo per la sua valutazione stellare e le sue incredibili trovate di marketing, ma perché si tratta di un importante attore nel mondo della tecnologia finanziaria, una nicchia che il governo britannico ha cercato di alimentare. Il ministro delle finanze George Osborne ha espresso chiaramente il desiderio di vedere Londra diventare la “capitale della tecnofinanza” mondiale. E ha perfino nominato un “inviato speciale” alla tecnofinanza per aumentare le possibilità di riuscita di Londra.

La tecnofinanza è un segmento dell’economia tecnologica particolarmente vulnerabile alla situazione d’incertezza successiva alla Brexit. Questo a causa del passporting dei servizi finanziari, che permette a una qualsiasi azienda regolata dalle leggi di uno degli stati dell’Unione europea di offrire i suoi servizi in tutta l’Unione, senza bisogno di ottenere ulteriori autorizzazioni dagli organismi di vigilanza dei nuovi paesi nei quali s’insedia.

Questo significa che le aziende di tecnofinanza possono mantenere il loro personale nel Regno Unito, offrendo però i servizi in tutta Europa senza bisogno di aprire sedi distaccate altrove, spiega Tim Dolan, socio dello studio legale King and Wood Mallesons. Ma, aggiunge, “in caso di Brexit il Regno Unito non potrà approfittare del passporting, che risulterà improvvisamente decaduto”.

Le startup finanziarie, poco amanti del rischio, si chiedono quale città offrirà una valida alternativa

Le startup che si occupano di trasferimenti di denaro e pagamenti riceverebbero un duro colpo dalla fine del passporting europeo, osserva Dolan.

La fine del passporting per le aziende britanniche non significa che le imprese di tecnofinanza dovranno smettere di fare affari con gli altri paesi continentali, ma provocherà complicazioni amministrative e un aumento dei costi. Le aziende britanniche che volessero approfittare del passporting dovranno creare una filiale in un paese dell’Unione europea e ottenere i permessi dall’autorità di vigilanza finanziaria di quel paese. Le sue filiali beneficerebbero allora di diritti di passporting in tutta l’Unione europea.

C’è ancora una grande incertezza sul tipo di accordi di vigilanza e commerciali che il Regno Unito metterà a punto e, per dirla tutta, sul fatto che la Brexit sarà davvero messa in pratica. Ma per le startup finanziarie, poco amanti del rischio e in cerca di garanzie, la grande domanda è: quale città europea potrebbe offrire un buon approdo alternativo?

Dublino sarebbe felice di esserlo. “Avendo già un gran numero di startup tecnofinanziarie in città, per loro sarebbe semplicissimo trasferirsi qui”, spiega Niamh Bushnell, il commissario alle startup dublinese.

Naturalmente l’effetto generale della Brexit sull’economia irlandese sarà probabilmente negativo, ammette Bushnell, e potrebbe trattarsi anche di una cattiva notizia per le startup irlandesi che vogliono vendere beni e servizi nel Regno Unito. Ma per Dublino è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Quartz.

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