23 febbraio 2017 14:50

La campagna elettorale olandese è cominciata il 15 febbraio e il leader islamofobo Geert Wilders si presenta come il favorito di uno scrutinio che sarà un banco di prova dei sentimenti populisti che hanno spinto il Regno Unito fuori dell’Unione europea e portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

L’euroscettico Wilders, un ammiratore di Trump, contrario all’immigrazione, ha definito le elezioni parlamentari del 15 marzo l’inizio di una “primavera patriottica” in Europa, in vista anche delle elezioni che si terranno in Francia e in Germania, rispettivamente a maggio e a settembre.

Wilders e il suo Partito della libertà (Pvv) sono stati in testa ai sondaggi d’opinione per buona parte degli ultimi due anni, ma il frammentario paesaggio politico olandese fa apparire quasi inevitabile un governo di coalizione con quattro o cinque partiti. Il suo principale rivale, il primo ministro Mark Rutte, del Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vdd, liberalconservatore), conta sulla ripresa economica sempre più decisa per recuperare la popolarità perduta durante il periodo di austerità compreso tra 2012 e 2014. I due hanno annunciato che s’incontreranno durante un dibattito televisivo il 13 marzo.

Difficile coalizione
Il partito di Wilders dovrebbe ottenere il 20 per cento dei suffragi, contro il 16 per cento di quello di Rutte. Per governare serve generalmente una maggioranza semplice, ma tutti i partiti tranne uno hanno deciso che non formeranno una coalizione con Wilders, le cui politiche sono considerate da molti offensive e talvolta incostituzionali.

Al voto si presentano 31 partiti, 14 dei quali otterranno probabilmente almeno uno dei 150 seggi parlamentari. Gli altri tre principali partiti non dovrebbero ottenere più del 10-11 per cento dei voti ciascuno. “Di fatto, la schiacciante maggioranza degli olandesi non voterà per Wilders”, afferma Kristof Jacobs, docente all’università Radboud a Nimega.

Se Wilders non riuscisse a formare il governo toccherebbe a Rutte cercare una coalizione basata solo sull’opposizione al leader xenofobo

È quindi improbabile che una vittoria di Wilders porti a un’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione europea, a una chiusura delle frontiere ai migranti musulmani o a un ritorno della moneta olandese, tutte politiche che sono sostenute unicamente dal suo partito. A dicembre Wilders è stato condannato per incitamento alla discriminazione dopo aver guidato un coro, insieme ai suoi sostenitori, nel quale si auspicava la presenza di “Meno! Meno! Meno!” marocchini nel paese.

Uno studio pubblicato dal ministero degli affari sociali ha rilevato che quasi il 40 per cento dei turchi e dei marocchini nei Paesi Bassi non si sente accettato e non avverte un senso di appartenenza al paese.

Se il partito di Wilders, il Pvv, ottenesse il punteggio più alto ma non fosse in grado di formare un governo, toccherebbe a Rutte cercare di formare una coalizione centrista con altri partiti con i quali condivide poco più che l’opposizione al leader antimmigrazione. In tal caso, “resteremo calmi e amministreremo il paese finché non ci sarà una nuova coalizione”, ha dichiarato il ministro delle finanze Jeroen Dijsselbloem, aggiungendo con una battuta che la situazione potrebbe andare avanti così “per anni” ai sensi della costituzione.

I Paesi Bassi, uno stato che con i suoi 17 milioni di abitanti dipende in maniera massiccia dal commercio, ha rigettato nel 2005 la costituzione europea e, l’anno scorso, un trattato che prevedeva dei legami più stretti tra Ue e Ucraina. Un sondaggio di Motivaction ha mostrato che più del 61 per cento degli intervistati considera i politici olandesi “elitari, inaffidabili e disonesti”.

Circa il 37 per cento dei probabili elettori ha dichiarato di non avere ancora deciso per chi voterà.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa britannica Reuters.

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