14 maggio 2015 11:03
Vincenzo De Luca a Napoli, il 14 febbraio 2015. (Salvatore Esposito, Corbis/Contrasto)

Nelle liste che sostengono Vincenzo De Luca alla carica di presidente della regione Campania ci sono candidati che nessun elettore di sinistra voterebbe mai. Dopo l’allarme lanciato da Roberto Saviano una settimana fa, sono arrivati a questa conclusione lo stesso candidato De Luca e il premier Matteo Renzi. Entrambi hanno invitato a votare altri candidati.

Renzi ha rincarato la dose in un’intervista alla Repubblica sostenendo che alcuni candidati sono “non soltanto impresentabili, ma ingiustificabili”.

Ingiustificabili perché indagati o addirittura condannati, o perché funzionali al sistema camorristico, come denunciato da Saviano. O, ancora, perché in passato molto vicini a Nicola Cosentino. O semplicemente perché provenienti da ambienti neofascisti, cosa che tra l’altro è accaduta anche a una lista che sostiene Michele Emiliano in Puglia.

E allora perché sono stati candidati? Dal punto di vista logico si potrebbe concludere che i vertici non sapevano chi sarebbe stato candidato o che, pur sapendolo, non sono riusciti a opporsi. La terza ipotesi è che non abbiano voluto opporsi.

In tutti e tre i casi ciò che emerge è un rapporto distorto tra i partiti che occupano il centro della politica e la periferia.

Nella migliore delle ipotesi, Renzi e i vertici del Partito democratico non conoscono una vasta porzione del paese, la Campania e il sud, e il sistema di alleanze che innerva la politica radicata sul territorio. Ma, se anche così fosse, l’innocenza dei fatti tradirebbe una responsabilità politica enorme: l’estinzione di una seria politica meridionalista, che si fondi sulla conoscenza dei luoghi e della politica che in essi viene praticata, su una strategia per estirpare la zona grigia della corruzione e della connivenza con la criminalità organizzata, al di là dei facili slogan sul sud.

Nel secondo caso (ammettendo cioè che non abbiano potuto opporsi) emergerebbe ciò che è evidente da tempo: Renzi è forte al centro, ma debole in periferia. Debole perché non riesce a bonificare una intelaiatura di potentati locali, prossima anche al suo partito, e trasversale rispetto all’intero sistema. In fondo, il Pd non è riuscito a evitare che lo stesso De Luca si presentasse alle primarie e le vincesse, pur essendo costretto, nel caso venisse eletto governatore, a dimettersi in virtù della legge Severino. L’ex sindaco di Salerno è stato infatti condannato per abuso d’ufficio.

Tuttavia, a questo dato se ne aggiunge un altro. Gli “impresentabili” e gli “ingiustificabili” sono finiti in lista non per carità cristiana, ma perché portatori di pacchetti di voti. E se, da una parte, le elezioni regionali sono quel tipo di elezioni che i candidati sono portati a vincere con ogni mezzo possibile, dall’altra è proprio un’analisi di quei pacchetti di voti a rivelarci il vero volto dell’Italia. A svelarci come si crea, si distribuisce, si contratta il consenso. Come lo si fa lievitare.

Detto per inciso, tutti quelli che vogliono reintrodurre le preferenze nelle elezioni politiche dovrebbero prima fornire una seria analisi dell’uso che delle preferenze si fa nelle elezioni locali. Oltre vent’anni fa, il Partito comunista chiese la loro abolizione proprio perché sinonimo di voto di scambio.

Ma se le elezioni regionali sono già altamente problematiche, il massimo della problematicità si verifica nelle liste civiche che – accanto ai partiti – sostengono i candidati governatori. È così a destra e a sinistra. È così in Campania, in Puglia e altrove.

Secondo Renzi il Pd è pulito perché le sue liste sono pulite, e gli impresentabili sono solo nelle liste civiche. Ma è una difesa ovviamente contraddittoria. Innanzitutto perché quelle liste sono state espressamente integrate nelle coalizioni di centrosinistra, così come nelle coalizioni di centrodestra. Non sono certo piovute dal cielo.

In secondo luogo, perché sono stati gli stessi candidati governatori a favorire la proliferazione delle liste accomunate. Non solo perché in tal modo si raggiungono anche gli elettori che probabilmente non voterebbero i candidati dei partiti. Ma anche perché – ed è questo il vero motivo politico – un governatore che vede distribuirsi il proprio consenso tra i partiti tradizionali e liste che presentano il suo stesso nome sul simbolo, una volta eletto avrà una posizione di forza proprio nei confronti delle segreterie nazionali e regionali di quei partiti tradizionali. Le liste non solo lo aiuteranno a vincere le elezioni, ma gli forniranno un buon peso contrattuale nei confronti delle segreterie. E una volta ottenuto il premio di maggioranza, sottrarranno seggi ai partiti, rendendo di fatto il presidente più forte.

E allora torniamo al punto di prima. A emergere è la debolezza del Pd e dei partiti nazionali nel governare e interpretare i territori locali. A questa debolezza contribuiscono gli stessi potentati locali, per la costruzione dei quali i pacchetti di voti sono evidentemente necessari. Sostenere di non sapere cosa succede in provincia o invitare a votare altri all’interno delle stesse liste, vuol dire stendere un velo sul funzionamento dell’intero sistema.

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