17 dicembre 2015 17:12

Il 16 dicembre Janet Yellen, presidente della Federal reserve (Fed), la banca centrale statunitense, ha annunciato il rialzo del principale tasso di riferimento dell’istituto (il Federal funds rate, da cui dipendono i tassi d’interesse applicati dalle banche sui prestiti concessi ai loro clienti) dallo 0,25 allo 0,5 per cento. È un annuncio atteso da mesi e per certi versi storico, visto che potrebbe porre fine a una fase caratterizzata dall’uso di misure senza precedenti da parte della Fed.

L’ultimo rialzo dei tassi negli Stati Uniti risale al 2006, mentre dal 2008, cioè da quando è scoppiata la crisi finanziaria legata ai mutui spazzatura, il tasso era rimasto praticamente vicino allo zero. Per sette anni la Fed ha cercato di alleviare gli effetti della crisi riversando liquidità nel sistema economico mantenendo i tassi bassi e comprando titoli in grande quantità attraverso i programmi di quantitative easing, o alleggerimento quantitativo. In questo modo è stato agevolato il credito ed è stato tenuto in piedi il sistema finanziario, sia pure rischiando di innescare altre bolle sui mercati finanziari.

Ora, invece, Yellen ritiene che si possa mettere fine a questa fase, perché l’economia statunitense è in ripresa e dovrebbe essere in grado di andare avanti da sola senza le misure eccezionali della Fed. Quello del 16 dicembre è solo il primo passo verso una politica monetaria “normale”. La Fed, infatti, prevede di arrivare a un tasso dell’1,4 per cento entro la fine del 2016, intorno al 2,4 per cento nel 2017 e al 3,4 per cento nel 2018. Quindi solo fra tre anni, salvo ripensamenti, i tassi dovrebbero tornare ai livelli precedenti la crisi del 2008, quando la norma era un tasso d’interesse del 4 per cento.

Secondo alcuni economisti, il rialzo potrebbe danneggiare la ripresa rallentando alcuni settori trainanti

Come spiega il Washington Post, la decisione della Fed avrà effetti importanti sulle famiglie statunitensi, ma anche sul resto del mondo. Innanzitutto, “aumenteranno gli interessi dei prestiti ipotecari, delle carte di credito e dei crediti erogati per comprare l’automobile, soprattutto se la Fed continuerà ad alzare i tassi nel 2016”.

Secondo alcuni economisti, il rialzo potrebbe danneggiare la ripresa, rallentando settori trainanti come quello immobiliare e quello delle auto. “Alcuni studi recenti”, sottolinea il Washington Post, “sostengono che un punto percentuale in più di interessi provoca un calo delle vendite di auto pari al 3 per cento”. Tra l’altro la ripresa statunitense non è così solida come sembra, visto che “i salari non crescono e che molte persone non risultano nella lista dei disoccupati semplicemente perché hanno smesso di cercare lavoro”.

Un altro effetto importante è che con i tassi più alti aumenteranno i rendimenti degli investimenti delle famiglie statunitensi e si richiameranno nel paese molti capitali che dopo il 2008 erano fuggiti altrove – soprattutto verso i mercati emergenti – in cerca di rendimenti più alti.

Fuga dall’Asia

Quest’ultimo non è un segnale incoraggiante per alcuni paesi. “Potrebbe voler dire tassi più alti per le aziende e i governi che si sono indebitati in dollari, perché farà crescere il valore della moneta statunitense. Molti capitali abbandoneranno l’Asia e lo stesso potrebbe succedere in Europa”, scrive la Bbc.

Un quarto dei crediti delle aziende cinesi, spiega il sito svizzero Watson, sono in dollari ma incassano entrate nella moneta locale, mentre “a metà del 2015 in tutto il mondo i debiti in dollari fuori dagli Stati Uniti ammontavano a 9.800 miliardi. Oltre alla Cina, molti debiti sono concentrati in Malesia, Indonesia, nelle Filippine, in Messico, in Turchia, Cile e Sudafrica”.

Gli effetti non mancheranno anche per l’eurozona e la Svizzera, scrive la Neue Zürcher Zeitung. L’apprezzamento del dollaro significa che l’euro e il franco svizzero si svaluteranno, favorendo le esportazioni negli Stati Uniti. “Una notizia tutto sommato positiva per economie come quella dell’eurozona e della Svizzera ancora molto fragili rispetto a quella statunitense”. Tuttavia, conclude il quotidiano svizzero, “il 16 dicembre 2015 sarà citato nei libri sulla crisi di questi anni come la data in cui è cominciata la fine di un gigantesco esperimento condotto per sette anni dalla Fed. Ma attenti a non sopravvalutarne la portata, visto che il ritorno alla normalità si verificherà in un futuro ancora lontano” che potrebbe riservare molte sorprese.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it