26 aprile 2016 09:12

Cosa farà Bernie Sanders? Si ritirerà dalla corsa per la nomination democratica e cercherà di convincere i giovani e i bianchi della classe media che lo sostengono a votare per Hillary Clinton alle presidenziali? Continuerà ad attaccare la sua avversaria e cercherà di usare la sua forza politica per spostare il Partito democratico più a sinistra? E Clinton? Sceglierà un candidato alla vicepresidenza molto di sinistra per accontentare i sostenitori di Sanders? E i repubblicani? Donald Trump riuscirà a raggiungere la maggioranza dei delegati necessari per ottenere la nomination? L’alleanza tra Ted Cruz e John Kasich servirà ad arginare Trump o si rivelerà un boomerang?

Sembra che per avere le risposte a queste domande dovremo aspettare ancora un po’. Le primarie di New York del 19 aprile, dove Clinton e Trump hanno rafforzato il loro vantaggio sugli avversari ma non abbastanza per ottenere la nomination in tempi brevi, hanno confermato il principale paradosso delle primarie per le presidenziali statunitensi: ci sono due candidati nettamente favoriti ma anche deboli e vulnerabili. Uno è detestato dal partito per cui è candidato e da buona parte dell’elettorato conservatore, l’altra è disprezzata dagli elettori più giovani e più di sinistra e accettata malvolentieri da molti democratici.

Duri scontri ideologici

Gli stati che devono ancora pronunciarsi non sono molti e con il passare delle settimane le due campagne sono diventate sempre più aspre e ideologiche, e questo ha contribuito a creare uno stallo che potrebbe durare ancora per un po’, forse addirittura fino a luglio, quando sono in programma le convention dei repubblicani e dei democratici a Cleveland e a Filadelfia.

Di certo le cose non dovrebbero cambiare più di tanto con le primarie di oggi in Maryland, Pennsylvania, Connecticut, Delaware e Rhode Island. Una giornata elettorale in cui gli sfidanti di Clinton e Trump potrebbero subire altre nette sconfitte ma non così decisive da convincerli ad abbandonare la corsa.

I voti delle prossime settimane avranno comunque qualcosa da dire. Notizie interessanti potrebbero arrivare non dalle primarie presidenziali ma da quelle che si tengono per scegliere i candidati che a novembre si contenderanno i seggi disponibili al senato. Queste sfide coinvolgono politici di cui non abbiamo mai sentito parlare, probabilmente sconosciuti anche alla maggior parte degli statunitensi, ma su cui vale la pena soffermarsi perché raccontano i cambiamenti della politica statunitense meglio di quanto non si capisca osservando lo stallo delle primarie per le presidenziali.

La sfida tra Edwards e Van Hollen fa luce sulla contrapposizione tra i politici che si fanno strada dal basso e i politici tradizionali

Nel voto del 26 aprile la sfida più interessante è quella tra Donna Edwards e Chris Van Hollen nelle primarie democratiche per il senato in Maryland. Edwards è un’outsider a tutti gli effetti: madre single di 43 anni, afroamericana, con una lunga storia di attivismo per i diritti delle donne e dei neri, porta avanti un programma molto radicale e ha fatto una campagna elettorale aggressiva.

Se il 26 aprile dovesse vincere avrebbe buone possibilità di diventare la seconda senatrice nera in 227 anni di storia americana. Van Hollen, un bianco di 57 anni che come deputato ha avuto un ruolo importante nel passaggio parlamentare della riforma sanitaria voluta da Obama ed è stato il braccio destro della leader democratica Nancy Pelosi, ha puntato molto sull’affidabilità del suo programma moderato e sul fatto di essere sostenuto dall’establishment democratico.

Come quella tra Clinton e Sanders, la sfida tra Edwards e Van Hollen è stata ruvida e ha portato alla luce le fratture presenti nella sinistra americana, la contrapposizione tra politici che si fanno strada dal basso con proposte radicali, spesso arrivando dall’attivismo locale, spesso appartenenti alle minoranze, e politici tradizionali che hanno fatto il percorso classico all’interno del Partito democratico e sono generalmente più moderati.

In un momento in cui il Partito repubblicano si sposta su posizioni estreme e minoritarie e si autocondanna a essere sempre meno rappresentativo degli elettori moderati, questa tendenza potrebbe segnare il futuro non solo della sinistra ma di tutta la politica statunitense.

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