18 maggio 2006 10:31

Dopo un concerto, l’offerta alimentare può essere veramente triste. Un po’ di pizza avanzata in camerino o qualche fetta di prosciutto indurito dall’aria condizionata. Oppure c’è Subway. L’odore dei panini di Subway contribuisce all’impercettibile miscela di puzze che crea la colonna sonora olfattiva del nostro tour bus.

Siamo a Washington, ma non mi faccio grandi illusioni sulla cena. Poi ricevo un messaggio da Nick: “Ebbit’s grill. Ostriche e Guinness”. È a pochi passi dal giardino della Casa Bianca. I fiori dei ciliegi illuminati a giorno diffondono un profumo delicato sulle cancellate nere e sui blocchi di cemento impenetrabili. I poliziotti tengono le mani sui fianchi e chiacchierano tranquillamente poggiati a un’auto di pattuglia. È una notte insolitamente calma nella capitale.

Il barista è uno scozzese. Nick è contentissimo perché le ostriche di Westcott bay sono a metà prezzo. Ostriche in saldo? Il mio stomaco, preoccupato, cade in preda ai crampi. Spio il barista. Capelli a spazzola grigi e un paio d’occhiali d’altri tempi. Grembiule lungo e nero, e camicia bianca inamidata. Si è trasferito da Irvine nel 1982, ma ha ancora l’accento scozzese.

Mi domando se è un Jimmy MacJimmy. In ogni paese del mondo c’è un Jimmy MacJimmy: una parodia dello scozzese lontano dalla patria. Anche se non mettono piede nella loro città da trent’anni, la loro identità si basa sul fatto di essere un jock (termine colloquiale che in Gran Bretagna indica uno scozzese, ndr). Ma nessuno in Scozia si definirebbe un jock.

I Jimmy parlano con una cadenza buffa, come un personaggio della Disney o le macchiette dei musical di Edimburgo. Usano modi di dire passati di moda, e se scoprono che anche tu sei di Glasgow ti si avvicinano un po’ troppo quando ti parlano. Ma Ryan è a posto. Sa tutto della squadra dei Rangers e delle ostriche. Mi dice che dovrei provare le Olympias del Pacifico. Piccole e intense: perle grigie e tremolanti sulle minuscole conchiglie.

Washington è una città di estremi: massa di anglosassoni e povertà afroamericana. Ebbit’s grill è il bastione dei primi. Costruito a metà dell’ottocento, il bar era ed è ancora un rifugio dell’élite politica.

Nelle teche di vetro c’è una collezione di fucili e uno stormo di anatre da esca di legno. I séparé di mogano intagliato sono coperti da cuscini di velluto. Gratto le conchiglie e ascolto Ryan che parla dei giorni di gloria di Paul Gascoigne. È triste essere a duemila anni luce da casa.

Internazionale, numero 642, 18 maggio 2006

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