01 giugno 2006 10:32

Guardo fuori dalla finestra, oltre le foglie dei banani e oltre il muretto art déco del ristorante, verso gli studios dall’altra parte della strada. Sessant’anni fa Sam Goldwyn saliva su quel muretto, sfidando il feroce sole pomeridiano della California, e gridava ai suoi autori di finirla di bere e di tornare al lavoro.

Sono al Formosa Cafe di Hollywood, all’angolo tra Formosa avenue e Santa Monica boulevard. Gli studios di fronte a noi erano quelli della United Artists e questo caffè aveva la reputazione di essere un posto dove si poteva incassare l’assegno dello stipendio, ordinare un cocktail e fare qualche scommessa. A quanto pare Lana Turner usciva con il proprietario, un gangster mafioso.

Le pareti sono coperte da foto autografate delle star che frequentavano il locale: Marilyn, Lucy e Desi, Groucho e Clifton Webb. Il colonnello Tom Parker ha un sigaro in bocca e ci osserva con gli occhi socchiusi dal suo ritratto sbiadito. Sopra il tavolo preferito di Elvis c’è una vetrina con delle statuette che lo ritraggono a vari stadi di obesità. Una volta Elvis lasciò come mancia a una cameriera una Cadillac nuova fiammante. La ragazza che ci serve dice che ora le star non danno più mance del genere.

Il menù è eccentrico. È cibo cinese di Sichuan, ma con strane combinazioni. Tonno alla tartara sui nachos. Capesante saltate su linguine ai pomodori secchi. Tutto sembra condito con un po’ di maionese. I piatti non sono male, ma soprattutto siamo al tavolo dove Sinatra si sbafò i chow mein di pollo dopo aver vinto l’Oscar per Da qui all’eternità. Non siamo qui per il cibo.

L’amico che mi ci ha portato è un regista e, come vuole la tradizione hollywoodiana, la conversazione si trasforma in gossip: chi ha fatto cosa, chi si è fatto chi e chi ha fatto fuori chi. Il cantante che, scontento della sua pettinatura nel video, si è fatto rinfoltire il ciuffo con il computer; la nuova e ricercatissima ballerina Supahead; i problemi a inquadrare i sederi troppo grossi; gli effetti degli psicofarmaci; chi è un bravo ragazzo e chi, “lo sanno tutti”, è un imbecille.

Ah, e poi c’è il tavolo dov’è stata girata quella scena di L.A. Confidential. In sottofondo c’è la musica di Miles Davis. Si dice che a Hollywood tutto è un’illusione, ma questo posto sembra così reale. Tra quarantott’ore sarò di nuovo nel mio appartamento vuoto di Glasgow. E questo sì che non mi sembra reale.

Internazionale, numero 644, 1 giugno 2006

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