31 agosto 2006 10:39

L’aereo a doppia elica che stamattina ci ha portato da Danzica a Edimburgo sembrava fatto di mattoncini Lego. I nostri strumenti erano legati con una corda al pavimento nello spazio tra noi e il pilota.

La colazione servita in volo consisteva in uova strapazzate acquose e fredde, accompagnate da pancetta gelata. Il grasso si era rappreso in dure lacrime bianche sul bordo del vassoio di plastica. Per cui muoio di fame mentre percorriamo la strada sterrata che porta all’area artisti del festival T in the Park, sotto invernali nuvoloni di luglio.

Il nostro pullman, quindici tonnellate di stravaganza colorata, passa il posto di blocco della sicurezza. È lo stesso cancello di un giorno estivo di tre anni fa, quando con la chitarra infilata in un sacchetto della spazzatura mi sentii dire dalla guardia con la lista delle band: “Mi spiace ragazzo, non penso che tu sia qui per suonare, e non dovresti essere in quest’area”.

Non abbiamo tempo di mangiare. Andiamo dritti a una conferenza stampa. Sembra febbraio, ma tengo gli occhiali da sole. Non è che voglio fare il figo. Niente affatto. Semplicemente ci sono troppi occhi con cui stabilire un qualche contatto. Migliaia di flash, centinaia di domande.

“Come vi sentite a essere di nuovo al T?”. Ho veramente fame. Sotto la pioggia torniamo al tendone del buffet. Mentre mi sbrigo a mettermi in fila butto un occhio sulla lavagna del menù, registrando mentalmente stinchi d’agnello stufati e anatra alle cinque spezie con insalata allo zenzero. Sono dietro Edith Bowman e davanti a Sophie Ellis-Bextor, che tiene in braccio un bellissimo bambino con i capelli di fuoco.

Porto del tonno a un tavolo con una tovaglia a quadretti. Do un morso e sento un leggero prurito al palato, lo stesso di due giorni fa, quando ho mangiato un’insalata di pollo in Serbia. Era condita con burro di arachidi, a cui sono allergico, e ho vomitato per tutta la notte. Sputo il tonno. Probabilmente non è niente, ma non posso rischiare. Il concerto deve andare bene. Allora do un’occhiata alle torte. Grandioso.

Un’appiccicosa torta di noci, una torta al limone spolverata di zucchero e un dolce di denso cioccolato. Oh, sì! Datemi i dolci! Sono una rockstar! Se non voglio mangiare altro che torte posso farlo! Mi riempio il piatto e intanto mi guardo intorno con espressione colpevole, aspettando che qualcuno della sicurezza mi venga a dire ancora: “Mi dispiace, ragazzo, non dovresti essere in quest’area”.

Internazionale, numero 657, 31 agosto 2006

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