27 luglio 2015 20:29

Abu Khalil al Hilou è un commerciante di frutta secca. Il suo negozio principale si trova nel quartiere di Shujaiyya, nella città di Gaza, alla fine di via Al Nazaz e davanti alla moschea Al Salaam. Ha un secondo negozio nel quartiere di Rimal, all’angolo con l’ospedale Al Shifa. Tutte queste informazioni le ho trovate sull’etichetta incollata su una scatola di fichi secchi, albicocche e datteri. Me l’ha mandata S, un mio amico di Gaza, approfittando di un giornalista straniero che diversamente da me ha ottenuto da Israele l’autorizzazione a entrare nella Striscia.

Ho chiamato Abu Khalil al numero che ho trovato sull’etichetta. Volevo sapere se il suo negozio a Shujaiyya esisteva ancora, visto che il quartiere era stato quasi completamente distrutto nel corso dell’offensiva israeliana dell’estate scorsa.
Ha risposto al telefono con un cordiale salam aleikum. All’inizio le mie domande gli sono sembrate sospette, ma sono riuscita a rassicurarlo e ho scoperto che, come temevo, il suo negozio non c’è più. La piccola “azienda” dove lui e suo fratello imballavano e incartavano la frutta importata dalla Turchia era stata colpita da una bomba e aveva preso fuoco. Neanche i magazzini si erano salvati. E neanche la moschea.

I suoi prodotti ora sono esposti solo nel negozio di Rimal. “Vogliamo che i nostri clienti continuino a fare regali”, mi ha detto, facendo notare che la guerra ha colpito duramente l’economia della Striscia. “Del resto, chi è morto è andato in cielo per volere di Dio”.

Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2015 a pagina 24 di Internazionale, con il titolo “La frutta secca di Gaza”. Compra questo numero | Abbonati

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