04 luglio 2016 19:48

I due bambini sono scesi di corsa dal taxi precipitandosi sulla strada trafficata. La nonna è una mia amica. Terrorizzata, ha pagato il tassista e ha rincorso i bambini, senza fiato, portandoli nella sua casa in un vecchio quartiere benestante di Gerusalemme.

Due ore dopo si è accorta di aver lasciato sul marciapiede un cappello rosso e la borsa. Dentro c’erano i documenti, il materiale per le lezioni di arabo, la carta di credito e 600 shekel (150 euro) che aveva appena ritirato. È raro che tenga con sé più di dieci euro in contanti.

Non so perché, ma avevo la sensazione che la borsa sarebbe ricomparsa. La mattina dopo il dentista della mia amica ha scovato un post, pubblicato sulla bacheca Facebook di un gruppo che si chiama Jerusalemites, con la foto del documento d’identità e l’annuncio che la borsa era stata ritrovata. Un ragazzo aveva visto la borsa mentre era seduto in autobus, era sceso al volo e l’aveva presa. La sua fidanzata aveva poi pubblicato l’annuncio.

Quella sera io e la mia amica siamo andate a recuperare la borsa. L’appuntamento era in un quartiere israeliano piuttosto povero, e l’isolato era tra i più poveri del quartiere. Una ragazza, moderatamente religiosa, ci ha aperto la porta. Dalle condizioni del piccolo appartamento si capiva che i due ragazzi non se la passavano tanto bene. “Non avreste dovuto portarci i fiori”, ci ha detto la ragazza mentre il figlio di 11 anni cercava di attirare la nostra attenzione con una pistola giocattolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 1 luglio 2016 a pagina 27 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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