27 febbraio 2017 17:13

Le due sorelle parlano allegramente di Yasmeen, 24 anni, che si è appena fidanzata. “Per fortuna non è un matrimonio tradizionale”, dice la prima, 20 anni. “Si sono innamorati, che cosa carina”, aggiunge la seconda, 19 anni.

Faccio una passeggiata con loro fino a Ibween, 30 chilometri a nord di Ramallah (in passato era un centro molto importante, anche se oggi si stenta a crederlo). La città vecchia di Ibween è molto interessante, con le sue meravigliose rovine di pietra e i palazzi restaurati da Riwaq, un’organizzazione che tutela il patrimonio architettonico della Cis­giordania.

Come Yasmeen, anche le due ragazze sono figlie di miei amici e originarie di Gaza. La più grande si sta sottoponendo alle cure per la leucemia. Ha voluto che fosse la sorella (e non la madre) ad accompagnarla per godersi il mondo oltre la gabbia. Ottenere un permesso dai carcerieri (Israele) non è stato facile, ma la famiglia ha insistito molto. La sorella grande ha imparato a conoscere Gerusalemme e l’area intorno a Ramallah quattro anni fa, quando ha cominciato le terapie. La piccola osserva estasiata le montagne e i mandorli in fiore.

“Cosa intendete per matrimonio tradizionale?”, chiedo. Mi rispondono ridendo: “I genitori vanno in giro, porta a porta, chiedendo se ci sono ragazze nubili che potrebbero sposare il figlio. Maher, padre di Yasmeen e di altre tre belle ragazze, risponde sempre ‘No, non ho figlie’, e sbatte la porta”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 24 febbraio 2017 a pagina 18 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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