22 maggio 2017 17:55

La settimana scorsa ho avuto l’ennesima conferma del motivo per cui l’identità delle fonti palestinesi non va rivelata. Il problema è che nel mio articolo non ho potuto evitare di citare i nomi, perché la vicenda e i suoi protagonisti erano già apparsi sul sito dell’ong israeliana B’Tselem tre mesi prima.

Da dieci anni B’Tselem consegna ad alcuni volontari palestinesi piccole videocamere per documentare le azioni dei coloni e dei soldati israeliani in Cisgiordania. Ho incontrato uno di questi “operatori”, che aveva coraggiosamente sfidato l’ordine di tre soldati di abbandonare il suo terreno, a un chilometro e mezzo da un insediamento israeliano particolarmente violento. I soldati lo hanno picchiato e arrestato, mentre un altro ha sparato a suo fratello a una gamba, con un proiettile rivestito di gomma. Lo Shin Bet ha subito revocato il permesso di lavoro in Israele del volontario, che è rimasto in detenzione per sei giorni, con l’accusa incredibile di aver attaccato i soldati. Fortunatamente, durante l’arresto è riuscito a nascondere la videocamera e la scheda. Questa è stata poi consegnata al tribunale militare e l’uomo è stato rilasciato.

Ho scritto un articolo rivolgendomi ai genitori dei tre soldati. È un testo duro che ridicolizza i soldati ed elogia gli operatori palestinesi. Ha fatto molto scalpore, e un gruppo di coloni di destra ha presentato un esposto contro il volontario di B’Tselem. È un vecchio trucco: vogliono metterci a tacere minacciando di vendicarsi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 19 maggio 2017 a pagina 29 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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