12 novembre 2014 11:31

La sentenza d’appello del tribunale dell’Aquila ha ribaltato il primo grado di giudizio: i sismologi della commissione Grandi rischi che si occuparono del terremoto dell’Aquila sono innocenti.

In primo grado, erano stati condannati per omicidio colposo. L’accusa si era concentrata su un singolo episodio: la breve riunione degli esperti del 31 marzo 2009, sei giorni prima del sisma, organizzata dall’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso per riportare la calma in una popolazione allarmata dallo sciame sismico e dalle profezie di sventura di Giampaolo Giuliani.

Secondo il pubblico ministero, la commissione aveva valutato con superficialità il rischio che lo sciame sfociasse in una scossa catastrofica. La sentenza di assoluzione è stata accolta con rabbia e delusione dagli aquilani, e con un sospiro di sollievo dall’intera comunità scientifica internazionale. Il rapporto tra scienza e società andrà ricucito col filo sottile.

Nel processo d’appello ha invece prevalso la linea difensiva: i sismologi non rassicurarono proprio nessuno. Si limitarono ad affermare che lo sciame sismico di per sé non implica nulla perché i terremoti sono imprevedibili (ed è vero).

In quella riunione non c’era molto altro da dire, per questo durò solo quaranta minuti. L’effetto di rassicurazione derivò piuttosto dalle dichiarazioni della Protezione civile prima e dopo la riunione.

L’unico condannato di oggi è infatti l’allora vice di Bertolaso, Bernardo de Bernardinis, che tenne i rapporti con i giornalisti. Ai mezzi d’informazione e alla Protezione civile dell’era Berlusconi servivano grandi titoli e Grandi Eventi (e appalti). L’opinione sospesa degli scienziati aveva bisogno di un piccolo “doping”, prima di darla in pasto a una popolazione allarmata.

I morti di “rassicurazionismo” continuano però a porre un interrogativo: cosa bisogna dire, quando non c’è niente da dire? Su questo si sono pronunciati i giudici del primo e del secondo grado, e hanno dato risposte diverse.

Anche nel caso Stamina gli scienziati erano compatti contro Vannoni il ciarlatano, mentre i tar di mezza Italia ne autorizzavano e bloccavano le terapie un po’ a casaccio.

Dove sono finiti la “certezza del diritto” e il “dubbio della ragione”? Oggi gli scienziati appaiono uniti e certissimi (soprattutto di non sapere) mentre i giudici, alle prese con le frontiere della scienza, ondeggiano come studenti impreparati. Sono paradossi che capitano quando dai ricercatori ci si aspettano risposte nette, o sì o no, e quelli, quando va bene, rispondono con le probabilità.

Nella società del rischio non vacillano solo i magistrati. Il fisico teorico Angelo Vulpiani, nel suo recente Caos, probabilità e complessità (Ediesse 2014), scrive che ciascuno di noi assiste ogni mese a un “miracolo”, cioè a un evento che si verifica una volta su un milione.

Non vuol dire che ogni mese vinciamo alla lotteria: significa anzi che dovremmo studiare meglio la teoria delle probabilità e forse risparmieremmo i soldi del Gratta e vinci. Però a scuola non ce la insegna nessuno. Allora preferiamo arrabbiarci con chi la statistica l’ha studiata sul serio e ai miracoli non ha mai creduto.

Andrea Capocci è fisico teorico e insegnante. Scrive di divulgazione scientifica per il Manifesto. Ha pubblicato diversi libri sul rapporto tra scienza e società, tra cui Il brevetto (Ediesse 2013) e Networkology (Il Saggiatore 2011).

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