25 febbraio 2016 10:55

Prima l’accordo a Bruxelles, poi l’annuncio del referendum sulla permanenza di Londra in Europa, e infine il corollario che tutti si aspettavano: se i britannici decideranno davvero di lasciare l’Unione, la Scozia chiederà un nuovo voto sull’indipendenza, dopo quello del settembre del 2014, vinto con un margine netto dagli unionisti.

Il rischio che l’inizio della campagna referendaria potesse segnare la ripresa delle schermaglie tra Londra ed Edimburgo era nell’aria da tempo. E Nicola Sturgeon, la leader degli indipendentisti dello Scottish national party, lo ha puntualmente confermato annunciando che un’eventuale vittoria dei favorevoli all’uscita dall’Ue “quasi certamente” innescherà una nuova consultazione popolare tra gli scozzesi.

Non prima, però, di essersi lamentata dell’eccessiva vicinanza tra il voto sulla Brexit, il 23 giugno, e le elezioni per il parlamento scozzese, in programma il 5 maggio.

L’unica certezza è che lo Scottish national party farà una convinta campagna elettorale a favore della permanenza in Europa

Per i nazionalisti scozzesi, tuttavia, la situazione è molto più intricata di quanto possa sembrare. Sturgeon e l’Snp, infatti, avrebbero ottimi motivi per pretendere un nuovo referendum se si verificasse una circostanza precisa: una vittoria del fronte antieuropeo in tutto il Regno Unito ma non in Scozia, dove la maggioranza dovrebbe rimanere fedele all’Unione europea.

Europeismo recente

E proprio qui cominciano i dubbi e le contraddizioni. Da una parte, infatti, i nazionalisti scozzesi sono in grande maggioranza favorevoli a rimanere in Europa, ma sanno anche che la vittoria del sì il 23 giungo seppellirebbe per un bel po’ di tempo ogni progetto indipendentista.

Dall’altra, c’è la tentazione di sostenere l’uscita del Regno Unito dall’Unione per poi poterne sfruttare le conseguenze politiche interne. Questa tattica rischia però di avere un effetto boomerang: la vittoria degli euroscettici anche in Scozia vanificherebbe alla radice la pretesa stessa di Sturgeon e dei nazionalisti, smentendo anche il proverbiale – ma piuttosto recente, per la verità – europeismo degli scozzesi.

Il tutto è reso ancor più delicato dal fatto che, con ogni probabilità, l’orientamento degli elettori scozzesi sarà determinante per decidere il risultato finale del referendum. Gli indipendentisti, insomma, sembrano trovarsi in un vicolo cieco, dove non solo i princìpi si scontrano con gli obiettivi politici, ma ogni strategia possibile presenta conseguenze negative.

L’unica certezza è che lo Scottish national party farà una convinta campagna elettorale a favore della permanenza in Europa, magari sperando che saranno altri a far pendere l’ago della bilancia dalla parte del no.

Comunque sia, i nazionalisti scozzesi oggi possono avere qualche motivo di soddisfazione. Con l’approvazione di un accordo fiscale dopo un negoziato durato quasi un anno, il parlamento di Holyrood acquisterà nuove prerogative e potrà disporre di tutte le tasse sul reddito raccolto a nord di Carlisle. Referendum sull’indipendenza o meno, un altro passo che rafforza l’autonomia della Scozia.

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