07 gennaio 2013 14:40

Tra Natale e la Befana sono sbocciati slogan, immagini e simboli di questa campagna elettorale convulsa e sfocata. Provo a raccoglierne alcuni e a dirvi perché, secondo me, non profumano esattamente di fresco.

Bersani L’idea delle primarie ha funzionato in termini di credibilità, energia, legittimazione e, cosa non meno importante, visibilità. Funzionano quelli che Umberto Eco chiama i bersanemi: gli esempi paradossali che strappano un sorriso e coinvolgono il pubblico cooptandolo bonariamente in un “noi” di complicità intelligente (ragassi, siamo mica qui a…). Hanno funzionato sia il ritorno strapaesano a Bettola e alla pompa di benzina di famiglia, sia i successivi incontri con i leader europei. Invece la campagna pubblicitaria proprio non va.

Guardatela: è grigia e spenta. Grigio il fondo. Grigio l’abito. Grigia e livida la faccia di un Bersani imbalsamato in una fissità quasi berlusconiana e in un’espressione sconclusionata (labbra serrate, sopracciglio destro alzato, sguardo perso nel vuoto), congelato in pose improbabili (mani giunte in preghiera nel formato verticale, manona vezzosa a reggere il mento nel formato orizzontale, fede nuziale in primissimo piano e taglio fotografico assassino). E poi c’è l’ennesimo slogan generico (l’Italia giusta) in blandissima salsa buonista (nessuno resta indietro, la politica dice la verità, il lavoro costruisce la vita, il futuro si prepara a scuola… ma va?).

E sì che Bersani sarebbe, di suo, piuttosto vispo, spiritoso e perfino fotogenico. Questo qui, che dice ‘ste esangui banalità dai manifesti, sembra un suo zio bollito.

Monti Trascurando la sfilza delle apparizioni televisive e guardando alla pura comunicazione autoprodotta, troviamo la strombazzatissima twittervista: oltre duemila domande, sedici rispostine volonterose ma ingessate nonostante l’abuso di punti esclamativi e oltre centomila follower acchiappati in due orette. Il prof. commenta con un adolescenziale WOW!!

Non ha tutti i torti: poca spesa e tanta resa, no?

Però il simbolo elettorale di Monti sembra disegnato con il righello: una maldestra riedizione della grafica del convegno di Italia futura Verso la terza Repubblica, ma anche qualche vicinanza con il famigerato logo Magic Italy. Il risultato è flebile: ciascun elemento svolazza per conto suo, e fortuna che c’è un tondo a tenere tutto assieme almeno sotto il profilo formale. E d’accordo: una “scelta civica” non è un partito, un movimento, una lista, una coalizione o un gruppo. Ma, allora, che roba è?

Berlusconi Esagerata quantità di apparizioni televisive, ma materiali pubblicitari a oggi non pervenuti, se si esclude la signorina Pascale sulla cui impaginazione non mi pronuncio.

Giannino L’astruso nome del movimento nato dal manifesto Fermare il declino si è trasformato in un più semplice Fare (per fermare il declino). Un nome di partito che non somiglia ai nomi di partito (e questo potrebbe essere un vantaggio) ma purtroppo evoca l’uomo del fare per definizione, Berlusconi (o, a scelta, il precedente uomo del fare: Giorgio Aiazzone). Anche il simbolo non somiglia ai simboli di partito (e questo potrebbe essere un vantaggio) ma purtroppo è decisamente simile al logo di Enervit.

Maroni Fiorisce anche la comunicazione per le regionali. Niente simboli di partito sui manifesti leghisti (coda di paglia, eh?) ma un solitario Maroni fotografato dal basso nella tipica posa mi-è-apparsa-la-madonna: sguardo al cielo ed espressione assorta. Però il taglio fotografico non riesce a nascondere la posa contratta, le braccia serrate e le mani infilate fin sotto le ascelle, come le tiene chi è spaventato, imbarazzato o infreddolito. E al di là del giochino di parole: qual è la promessa? La Lombardia in testa dove, come, per quali ragioni? Maroni rabbrividisce, e forse ha buoni motivi per farlo.

Ambrosoli Proprio come Bersani: mano sotto il mento, labbra tirate, fede nuziale in primo piano, lugubre bianco e nero, fondo scurissimo e taglio fotografico punitivo. Un’immagine che nella migliore delle ipotesi trasmette pensosa compostezza ma non energia, e trasforma il titolo (forte perché libero), che peraltro nulla dice del progetto o del programma, in una pericolosa excusatio non petita. La freschezza delle primarie, ahimè, già svanita.

Va detto: fare comunicazione politica è difficilissimo. Si lavora in fretta e male. Su informazioni vaghe, frammentarie o sconclusionate. Con interlocutori che hanno scarsa competenza tecnica e la propensione a scegliere, tra diverse proposte, la peggiore e la più reticente, e a peggiorarla ulteriormente. Però, accidenti, che vuoto pneumatico di contenuti, di energia, di coraggio, di visione e perfino di parole d’ordine. E viene da dar ragione agli ottimi Rizzo e Stella che, sul Corriere, lamentano una campagna elettorale che non parla del futuro del paese, e neanche si sforza di accennarvi. Non parlando di questo, finisce per non parlar di niente.

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