03 agosto 2015 17:18

I giardini giapponesi possono essere di molti tipi. E, di qualsiasi tipo siano, sono affascinanti. Offrono prospettive sbieche, itinerari sinuosi e ardite asimmetrie: una messa in scena della natura in cui lo studiato disordine dei singoli elementi si ricompone in un’armonia superiore.

Sono fatti di acqua, pietre, sabbia, strutture architettoniche tipiche, ponti di legno o pietra (e anche di passaggi sull’acqua costituiti da pietroni piatti messi in fila, sui quali bisogna procedere tenendosi in bilico), lanterne e vasche di sasso, steccati di bambù, cespugli e piante, carpe nei laghetti. Per saperlo, basta dare un’occhiata a Wikipedia.

Quel che Wikipedia non dice (e che le foto, di solito, non raccontano) è che i giardini giapponesi sono fatti soprattutto e prima di tutto di giardinieri giapponesi.

Così, ho deciso di fotografare loro e il loro lavoro.

Giardinieri giapponesi, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Sono compitissimi signori che indossano calze-scarpe di gomma morbida per non sciupare il prezioso muschio che puliscono meticolosamente, come se fosse una moquette, con scopetto e paletta. In realtà non si limitano a pulirlo: in un certo senso, lo pettinano e lo rammendano.

Un giardiniere, luglio 2015. (Annamaria Testa)

E tutto questo succede anche se il giardino non è propriamente un giardino come lo intendiamo noi ma, per esempio, un bosco di bambù.

Un bosco di bambù, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Avete presenti le siepi squadrate dei giardini all’italiana o alla francese? Ecco: in un giardino giapponese non c’è un cespuglio che abbia la stessa altezza, la stessa forma o la stessa dimensione di un altro. Eppure ciascuno ha un’altezza, una forma e una dimensione perfettamente studiata: il massimo artificio per ottenere il massimo della naturalezza. Questo significa che per tagliare i cespugli non si usano le cesoie, ma con un attrezzo che somiglia più a una forbicina per le unghie. E che c’è qualcuno che con inimmaginabile pazienza taglia rametto per rametto.

Giappone, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Infatti, qualsiasi siano l’ora della visita e la localizzazione o la dimensione del giardino, grande o piccolo, pubblico o privato (ciascuna delle foto che vedete è stata scattata in un giardino diverso) c’è sempre almeno un giardiniere che spunta dalla verzura come un puffo. Qualche volta lo si scopre solo dopo aver intercettato il frusciare dello scopetto o il clic clic delle forbici.

Giappone, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Il risultato è che ogni singola pietra, ogni foglia e quasi ogni filo d’erba sembra pitturato. Per dire: questo qui sotto è un qualsiasi sassotto grande più o meno come un tacchino, visto percorrendo uno dei sentieri secondari di un giardino privato (bellissimo, ma poco visitato) di Kyoto: quello della villa di Denjirō Ōkōchi, un attore del cinema muto morto negli anni sessanta.

Nel giardino privato della villa di Denjirō Ōkōchi, Kyoto, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Ma non c’è solo il muschio da pettinare. La carpa Koi, la varietà ornamentale coloratissima e tanto amata in Giappone, preferisce le acque ferme e ricche di vegetazione. Dunque gli stagni dei giardini giapponesi non sono trasparenti e, proprio per questo, hanno bisogno di più cure. Sulle superfici non si vede galleggiare neanche una foglia.

Lo stagno di un giardino giapponese, luglio 2015. (Annamaria Testa)

A proposito: le carpe non sono amate per motivi alimentari, se provate a mangiarle, sanno di fango. Ma sono longeve, interagiscono con gli esseri umani e li riconoscono, e in Giappone sono simbolo di coraggio, perseveranza, virilità, anticonformismo (nuotano contro corrente), prosperità e fedeltà, e portano fortuna. Infatti sono, anche, un classico dei tatuaggi.

A proposito di perseveranza: qui i giardinieri non ci sono, ma si vede bene la loro opera:

Giappone, luglio 2015. (Annamaria Testa)

Tutto questo per dire che un giardino giapponese è sì una meraviglia, ma non è un miracolo né una peculiarità della natura (se mai, della cultura) del luogo.

Non credo che in Giappone la natura sia più disciplinata che altrove. Il clima non è più clemente. Con il passare del tempo gli edifici si corrompono, le vecchie pietre si sgretolano, le erbacce crescono e tutto s’inselvatichisce, come in qualsiasi altro posto: per accorgersene, basta fare una deviazione per cimiteri abbandonati nel distretto dei templi di Utatsuyama, a Kanazawa. Dove, un po’ per via della poca luce, un po’ perché mi è sembrato che l’atmosfera lo vietasse e un po’ perché, lo ammetto, non mi sono sentita esattamente a mio agio e ho preferito andar via veloce, non ho scattato foto.

Qualche tempo fa vi ho parlato della pratica della manutenzione, negletta nel nostro paese ma fondamentale. Ecco: la scelta è tra il cimitero abbandonato e il giardino. E si tratta sempre, in fondo in fondo, di prendersi cura paziente e di rammendare il muschio, tener pulito lo stagno, piegare un ramo assecondandolo e sostenendolo, e governando il tempo che passa.

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