11 ottobre 2015 16:19

Tra le tante etichette che affollano il panorama musicale, quella di “jazz scandinavo” si è imposta come una traduzione sonora del paesaggio del grande nord: suoni soffusi, brumosi e dilatati, una musica contemplativa che si staglia sulla quiete delle distese di ghiaccio e di neve.

Ed è vero, a partire dal suono malinconico e riverberato del sassofono di Jan Garbarek si è creata un’estetica di poetica desolazione che ha segnato, e segna ancora, una parte della scena jazz di Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca. Ma c’è un’altra scena viva e in grande attività che ha prodotto gruppi come Fire!, Atomic, Wildbirds & Peacedrums, The Thing: i loro nomi rimandano a qualcosa di incendiario, selvatico e impellente, la loro musica non è assimilabile a un genere definito, ma insieme (e con altri) formano una compagine di musicisti curiosi e versatili, capaci di raccogliere i linguaggi del jazz e di proiettarli nel contemporaneo.

La Fire! Orchestra raggruppa in sé molti talenti di questa scena effervescente. E forse ci vuole tutto l’ottimismo di tre musicisti alla fine di un tour per dare vita a un progetto del genere: alle tre di notte, stanchi e soddisfatti, i tre componenti dei Fire! si concedono il lusso di dare libero sfogo alle idee più ambiziose e stravaganti, tra le altre quella di espandere il loro trio a un’orchestra di diciannove elementi. Una scommessa sulla quale è difficile puntare, ma loro ce la fanno, e nel 2012 esordiscono a Stoccolma.

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A capo di questa orchestra c’è Mats Gustafsson in veste di sassofonista e direttore. Conoscitore di musica e collezionista di vinili (ha un sito dedicato a questa sua mania: Discaholic Corner), è passato dalla passione per Little Richard a quella per il free jazz, via Jimi Hendrix, cogliendone il filo comune: la capacità e la voglia di toccare le punte estreme del sentimento, di usare la musica nella sua dimensione catartica di rituale collettivo. Il sassofono di Gustafsson grida, piange, singhiozza e si contorce; nell’improvvisazione cerca l’inaudito e il non detto, nel pop e nel rock l’immediatezza e la coralità, in una sintesi variabile che passa per le collaborazioni con Sonic Youth, Neneh Cherry, The Ex e il sassofonista etiope Getatchew Mekuria.

Enter, l’ultimo disco della Fire! Orchestra, si apre con un giro di tastiera che sa di rock anni settanta, un riff semplice ed efficace, di quelli che non ti mollano. È un tormentone che cresce e si gonfia dei suoni di sassofoni, ottoni, chitarre, tastiere, bassi, percussioni e voci. È un vortice filamentoso e compatto che restituisce la potenza del collettivo e l’emozione dei grandi numeri propria dell’organismo orchestra, anche quando di colpo la massa svanisce e la costruzione ricomincia dal silenzio. E dal vivo l’impatto è ancora più forte, perché le ondate di suono fatte di cantabilità, groove, esplosioni e distorsioni, investono l’ascoltatore anche visivamente.

Quest’estate la Fire! Orchestra ha presentato – prima in Austria, al Jazzfestival di Saalfelden, e poi in Sardegna, al festival Ai confini tra Sardegna e jazzRitual, una nuova lunga composizione. I musicisti entreranno in studio a dicembre, c’è da aspettarsi un gran bel disco con cui festeggiare l’anno nuovo.

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