19 gennaio 2015 10:31

In Francia l’anno è cominciato con un attacco, un crollo, una battaglia persa, una controrivoluzione, un lutto, ma forse anche con la possibilità di costruire nuove alleanze che coordinino ciò che amiamo e lo proteggano. Per quanto mi riguarda, ho cominciato l’anno chiedendo agli amici e anche a chi non mi conosce di non chiamarmi con il nome femminile che mi è stato dato alla nascita.

Beatriz è diventata Paul. Una decostruzione, una rivoluzione, un salto nel buio, ancora un lutto. E quando cammino per le strade del Raval a Barcellona con questo nuovo nome, penso che la cancellazione sistematica del genere normativo e l’invenzione di una nuova forma di vita, nelle quali mi sono avventurato da tempo, potrebbero essere paragonati al processo di trasformazione che attraversa oggi la Catalogna.

Difficile dire se tutto ciò è il frutto di una disforia che confonde i paesaggi senza frontiere della Val d’Aran o del Ponent con la mia mutevole anatomia o se invece è la conclusione logica della risonanza tra due possibili cambiamenti. Penso che ci sia una similitudine formale e politica tra la soggettività trans in mutazione e il divenire della Catalogna. Sono due narrative che si stanno facendo e disfacendo. In altre parole, il processo di costituzione di una Catalogna libera potrebbe somigliare – nelle sue modalità di relazione con il potere, con la memoria e con il futuro – alle pratiche di invenzione della libertà di genere e sessuale che sono all’opera nelle micropolitiche transessuali e transgender.

Al di là dell’identità nazionale, quali forze entrano o potrebbero entrare nella composizione della forma-Catalogna? Al di là dell’identità di genere, quali forze entrano o potrebbero entrare nella composizione della forma-trans? Che cosa so? Che cosa sappiamo? Che cosa posso? Che cosa possiamo? Che cosa farò? Che cosa faremo?

Nel caso del divenire-trans, come in quello del divenire-Catalogna, queste sono le alternative: o si tratta di un protocollo prevedibile di cambiamento di sesso (diagnosi di un disagio percepito come patologia, somministrazione di ormoni in dosi tali da affrettare un cambiamento culturalmente riconoscibile, operazione di riconfigurazione sessuale e così via) o, invece, si tratta di adottare un insieme di pratiche di rovesciamento delle forze di dominio dei corpi, che permetta l’invenzione di una nuova forma di vita. Una forma di esistenza la cui vitalità critica elabori il lutto della violenza e permetta una nuova relazionalità.

Quindi, o si passa da un sesso all’altro replicando le convenzioni normative o, al contrario, è possibile cominciare una deriva che permetta di creare dal di fuori. La cosa più importante non è dunque la transessualità o l’indipendenza, ma l’insieme delle relazioni attivate dal processo di trasformazione e che finora erano prigioniere della norma.

Nel caso del divenire-Catalogna-libera le alternative sono queste: o l’indipendenza è l’obiettivo finale di un’operazione politica tendente a definire un’identità nazionale, a cristallizzare una carta del potere, oppure si tratta di un processo di sperimentazione sociale e soggettiva che implica una nuova analisi dell’intera identità normativa (nazionale, di classe, di genere, sessuale, territoriale, linguistica, razziale, di differenza fisica o cognitiva).

O la mascolinità, la femminilità, la nazione, le frontiere, le divisioni territoriali e linguistiche avranno la meglio sulle infinite serie possibili di relazioni definite e da definire, oppure dobbiamo essere in grado di costruire insieme l’entusiasmo sperimentale capace di sostenere un processo costituente sempre aperto.

Divenire trans, come divenire indipendente, significa sempre e soprattutto allontanarsi dalla nazione e dal genere. Rinunciare all’anatomia in quanto destino e alla storia in quanto prescrittrice di contenuti dottrinali. Rinunciare al corpo, al sangue e al suolo in quanto leggi. L’identità nazionale e l’identità di genere non possono essere né fondamento né teleologia. Nella nazione come nel genere, non possiamo cercare delle verità ontologiche né delle necessità empiriche che permettano di stabilire appartenenze o divisioni.

In tutto ciò non c’è nulla da dimostrare o da verificare, è tutto da sperimentare. Come il genere, così la nazione non esiste al di fuori delle pratiche collettive che la immaginano e la costruiscono. La battaglia comincia con la disidentificazione, con la disobbedienza, non con l’identità. Annullando la carta, cancellando il nome, per proporre altre carte e altri nomi, mettendo in evidenza il loro essere frutto di una narrativa collettivamente immaginata. Narrative che permettano di costruire la libertà.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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