30 giugno 2014 07:00

Era nell’aria da settimane, e finalmente la notizia è arrivata. Durante la riunione di venerdì il Consiglio europeo, l’assemblea dei 28 capi di stato e di governo, ha deciso di voltare pagina creando un precedente che modificherà il funzionamento delle istituzioni comunitarie.

Il Consiglio ha indicato Jean-Claude Juncker come candidato alla presidenza della Commissione. L’ex primo ministro lussemburghese non è certo un nuovo arrivato sulla scena europea, ma la novità sta nel fatto che il suo nome è stato imposto ai leader nazionali dal Parlamento di Strasburgo, l’unica istituzione Ue eletta a suffragio universale paneuropeo.

Questo segna una profonda rottura con la tradizione. Finora erano stati i leader nazionali a indicare il candidato alla presidenza della Commissione, e l’investitura del Parlamento era stata relegata al rango di semplice formalità. Finora, ciò aveva permesso agli stati membri di controllare la Commissione, e fino a qualche tempo fa era impensabile che un candidato non avesse l’approvazione di una grande capitale. Eppure stavolta le maggiori forze politiche europee hanno trovato un accordo e hanno fatto capire che avrebbero accettato soltanto il capofila della formazione che avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni europee.

La scelta è caduta dunque su Juncker, candidato dei conservatori del Partito popolare europeo. Il Regno Unito lo ha osteggiato fin dall’inizio, ma i leader nazionali non avrebbero potuto scartarlo senza aprire una pericolosa crisi istituzionale con il Parlamento. Alla fine i 28 hanno preferito evitare il braccio di ferro e hanno scelto di votare sulla candidatura di Juncker. Il Regno Unito è stato messo in minoranza, e con un passo avanti importantissimo nella storia della democrazia europea il suffragio universale paneuropeo ha prevalso sulla volontà degli stati.

In futuro il presidente della Commissione sarà scelto dagli elettori dell’Ue e non più attraverso una trattativa tra gli stati, e questa svolta non farà che accelerare un’evoluzione delle politiche di rigore chiesta da tempo dai governi di sinistra.

Tra i sostenitori di una modifica dell’austerità ci sono i socialdemocratici tedeschi, che governano insieme ad Angela Merkel, e diversi governi di destra. La cancelliera tedesca è ormai isolata nella sua intransigenza, e il Consiglio ha stabilito di “dover trovare un equilibrio tra la disciplina di bilancio e il necessario sostegno della crescita”.

Non soltanto l’Unione si sta allontanando dal rigore esasperato, ma il Parlamento, Juncker e molti stati membri (Francia e Italia in testa) chiedono a gran voce investimenti europei per rilanciare l’attività e bilanciare gli effetti negativi dei tagli alla spesa pubblica. E così, sullo sfondo di questo cambiamento istituzionale, assistiamo all’emergere di una nuova politica europea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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