27 novembre 2014 09:53

Come prevedibile, il piano di investimenti da 315 miliardi in tre anni presentato il 26 novembre al Parlamento europeo dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha suscitato parecchia delusione, spingendo l’economista francese Eric Heyer a sottolineare che “tre moltiplicato zero fa sempre zero”.

Secondo Heyer ci vorrebbero trecento miliardi all’anno, e non su tre anni, per rilanciare davvero l’economia europea. Probabilmente ha ragione, ma se il governo francese e i gruppi parlamentari europei hanno reagito positivamente è perché la sola esistenza di questo piano consacra la necessità di investire per rilanciare la crescita. Una necessità assoluta, che appena pochi mesi fa era negata ostinatamente dalla Germania e dalla precedente Commissione, convinte che gli unici rimedi di cui l’economia europea avesse bisogno fossero la deregolamentazione e la riduzione delle spese pubbliche.

Ora però, davanti alla minaccia della deflazione e del rallentamento dell’economia tedesca, il vento nell’Unione sta finalmente cambiando. Sempre il 26 novembre, Angela Merkel ha addirittura manifestato un “sostegno di principio” al piano Juncker, che prudentemente (anche per non irritare Berlino) mobilita appena 21 miliardi di euro di denaro pubblico a garanzia degli investimenti privati.

Anche la possibilità concessa agli stati di rimpinguare il fondo senza che la cifra sia calcolata nel loro deficit di bilancio (uno strappo al patto di stabilità) non è stata criticata dalla Germania, i cui imprenditori, la sinistra e i sindacati chiedono a gran voce maggiori investimenti pubblici.
Le cose stanno cambiando, ma in realtà la svolta non rappresenta una rottura con le politiche adottate finora. Piuttosto si tratta di un compromesso, come confermerà la pubblicazione delle proposte di riforma e investimento commissionate da Parigi e Berlino a due economisti, uno francese e l’altro tedesco.

Per quanto riguarda, la Francia il rapporto raccomanderà, oltre che di portare avanti tutte le iniziative di Emmanuel Macron, di negoziare la durata della settimana lavorativa per le imprese – con una revisione delle 35 ore – e di stabilire trattative salariali triennali e non più annuali per frenare l’aumento degli stipendi, diventato più rapido rispetto a quello dei prezzi e della produttività.

Alla Germania i due economisti consigliano un costoso adeguamento al declino demografico del paese. Se Berlino non troverà una soluzione, nel 2050 il numero dei pensionati potrebbe quasi raggiungere quello dei lavoratori. Il governo dovrà dunque rilanciare la natalità e promuovere l’occupazione femminile sviluppando gli asili nido.

Più in generale, il rapporto inviterà le due potenze dell’Unione a investire nelle infrastrutture, nell’istruzione e nei settori industriali innovativi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it