28 gennaio 2015 08:30

Una settimana fa, prima che l’Ucraina orientale si infiammasse nuovamente, i capi della diplomazia russa, tedesca, francese e ucraina si erano riuniti a Berlino per chiedere una “cessazione delle ostilità” e il ritiro delle armi pesanti dalle zone di combattimento.

Il 21 gennaio i toni sembravano talmente incoraggianti da spingere il ministro degli esteri tedesco a parlare di “progressi concreti”. Il giorno dopo, però, i combattimenti sono ripresi a Lugansk e Donetsk, dove l’aeroporto è stato abbandonato dalle truppe ucraine. Sabato i separatisti filorussi hanno bombardato la città di Mariupol, fino ad allora risparmiata da una guerra (perché di guerra si tratta) che da aprile ha già fatto cinquemila morti.

La caduta di Mariupol permetterebbe ai separatisti, e di conseguenza alla Russia, di creare lungo la costa del mare di Azov una continuità territoriale tra le regioni orientali controllate dai ribelli e la Crimea annessa da Mosca. Siamo pericolosamente vicini a un’escalation del conflitto. Vladimir Putin ha definito l’esercito ucraino una “legione straniera al servizio della Nato”, mentre Barack Obama ha promesso di “aumentare la pressione” sulla Russia, che giovedì potrebbe essere colpita da nuove sanzioni dell’Unione europea.

È in moto un meccanismo perverso che penalizzerà inevitabilmente tutte le parti coinvolte. L’Ucraina, allo stremo dal punto di vista economico e militarmente incapace di resistere all’esercito russo, sprofonda sempre di più in un caos da cui nessun aiuto economico potrà tirarla fuori. La situazione della Russia è ancora più grave. Venerdì scorso il vicepremier Igor Shuvalov ha dichiarato che il paese deve affrontare una “crisi più duratura e più difficile di quella del 2008-2009”, quando il crollo di Wall street aveva provocato un calo del 7,9 per cento del prodotto interno lordo russo. Tra il crollo del prezzo del petrolio, le sanzioni già in atto e una fuga di capitali sempre più massiccia, la Russia avanza verso la catastrofe. Gli europei, dal canto loro, non avrebbero nulla da guadagnare dalla chiusura del mercato russo, su cui hanno grossi interessi (Germania e Francia su tutti).

Bisogna fermare questo ingranaggio prima che sia troppo tardi. François Hollande e Angela Merkel ci stanno provando, ma l’impresa appare disperata. L’Ucraina non è incline a fare concessioni, perché non può continuare a farsi smembrare senza reagire. Vladimir Putin non può fare un passo indietro prima di aver ottenuto concessioni chiare da esibire davanti a una popolazione il cui sostegno non durerà in eterno. Quanto agli europei, non possono impegnarsi a chiudere le porte della Nato all’Ucraina forzandone la trasformazione in uno stato federale fino a quando il Cremlino continuerà ad armare e finanziare i separatisti.

La situazione è palesemente bloccata, e solo una proposta di compromesso globale, magari su iniziativa proprio di Francia e Germania, potrebbe frenare la corsa verso l’abisso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it