04 marzo 2015 08:38

La constatazione è corretta, ma la conclusione non lo è affatto. Nella giornata di martedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha giustamente sottolineato davanti al congresso statunitense che il possibile compromesso tra le grandi potenze e l’Iran sul nucleare non basterebbe a evitare che Teheran possa comunque costruire la bomba atomica.

In effetti, il compromesso che si delinea all’orizzonte dovrebbe avere una durata limitata di dieci anni o poco più. Le restrizioni che imporrebbe allo sviluppo del programma nucleare iraniano non sarebbero dunque definitive, e nel frattempo l’Iran avrebbe ottenuto la cancellazione delle sanzioni. Inoltre, le concessioni sul suo programma nucleare non impedirebbero a Teheran, qualora decidesse di rompere gli accordi, di diventare una potenza atomica nel giro di un anno.

Tutto questo è vero, e tra l’altro, indipendentemente dall’atomica, l’Iran sta estendendo la sua influenza nello Yemen, in Iraq, in Libano e in Siria, ovvero nella maggior parte del Medio Oriente. Benjamin Netanyahu non ha torto a criticare l’idea accarezzata dalla Casa Bianca di appoggiarsi a Teheran per contrastare i jihadisti dello Stato islamico, concetto che ha ribadito sottolineando che “il nemico del mio nemico resta mio nemico”.

Queste considerazioni sono perfettamente condivisibili, ma davvero il compromesso sarebbe un “accordo sbagliato” a cui bisognerebbe preferire la prosecuzione delle pressioni economiche e politiche nei confronti dell’Iran? Netanyahu lo ha ripetuto più volte davanti ai deputati statunitensi che lo hanno applaudito fragorosamente, ma è innegabile che le pressioni si sono già dimostrate incapaci di arrestare il cammino dell’Iran verso l’atomica. A prescindere dalla prudenza di Netanyahu, che si è preoccupato di non inquietare troppo il congresso, le uniche alternative sarebbero la guerra o l’immobilità.

La possibilità di una guerra (bombardamenti aerei sulle strutture nucleari iraniane) non attira affatto gli Stati Uniti, anche perché la sua dinamica sarebbe totalmente imprevedibile. L’immobilità e il mantenimento delle sanzioni – che hanno indebolito fortemente l’economia iraniana, ma non hanno impedito al regime di fare passi avanti sul nucleare – equivarrebbero alla guerra, che diventerebbe inevitabile se Teheran fosse vicina alla costruzione della bomba.

Ogni compromesso, per sua natura, è insoddisfacente. Ma in questo caso, come pensa Barack Obama (attaccato da Netanyahu senza nominarlo), sarebbe comunque meglio di niente, perché permetterebbe di prendere tempo, rafforzerebbe i riformatori e i moderati iraniani nello scontro con i conservatori e darebbe coraggio a una società civile che non sopporta più il regime e aspira alla democrazia.

Sarebbe una scommessa sul futuro, ma non aggraverebbe la situazione e al contrario potrebbe congelarla per un periodo di tempo abbastanza lungo. Meglio scommettere su una dinamica di distensione e pace che su un’intransigenza che porterebbe inevitabilmente a uno scontro diretto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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