01 aprile 2015 08:47

Potrebbe essere solo una posa, ma anche il segnale di un intoppo concreto. Magari una o più delegazioni che partecipano al negoziato sul nucleare iraniano vogliono solo dimostrare di essersi battute fino alla fine senza fare un passo indietro. O magari esistono difficoltà insormontabili. Qualunque sia la verità, il rinvio delle discussioni che avrebbero dovuto concludersi martedì sera evidenzia tutte le contraddizioni del caso.

Sul fronte statunitense il presidente e il suo segretario di stato John Kerry si stanno impegnando seriamente per la riuscita della trattativa. Per Barack Obama è una questione fondamentale, perché vorrebbe concludere il suo mandato con un successo diplomatico tangibile riconciliando gli Stati Uniti e l’Iran e allo stesso tempo arrestando la marcia iraniana verso la bomba senza ricorrere alla forza. È per questo che la Casa Bianca ha impiegato risorse ed energie per trovare un compromesso con Teheran.

Il problema è che il margine di manovra di Obama è limitato dall’opposizione repubblicana. In maggioranza al congresso, i repubblicani sono contrari a qualsiasi compromesso, perché pensano (come i paesi sunniti e la destra israeliana al potere) che un accordo permetterebbe all’Iran di diventare uno “stato di soglia”, ovvero un paese che ha la tecnologia per costruire rapidamente una bomba atomica.

Sunniti, israeliani e repubblicani sono convinti che qualsiasi accordo sarebbe una cattiva notizia, perché permetterebbe alla Repubblica islamica di arricchirsi ottenendo la cancellazione delle sanzioni economiche e diventare una potenza nucleare capace di dominare il Medio Oriente. Il problema è che il congresso ha tutti i mezzi per impedire l’applicazione di un eventuale accordo, perché può rifiutarsi di cancellare le sanzioni bilaterali che Washington ha imposto all’Iran oltre a quelle decise dall’Onu. In altre parole, Barack Obama deve fare in modo che il compromesso non dia ai repubblicani il pretesto politico per respingerlo, e dunque deve alzare l’asticella.

Sul fronte iraniano le difficoltà sono altrettanto serie. A Teheran i riformatori vogliono un compromesso perché lo vuole la popolazione iraniana e perché è con questa promessa che sono stati eletti due anni fa, ma la guida suprema del regime (vero detentore del potere) è molto più incerta.

Ali Khamenei vorrebbe la conclusione di un accordo perché l’economia iraniana sta soffocando, ma non vuole che i riformatori ne approfittino per emarginarlo e imporgli un’eccessiva liberalizzazione politica. Per questo la guida ha posto le sue condizioni, ovvero una cancellazione immediata delle sanzioni concomitante alla firma di un accordo. Esattamente ciò che la Casa Bianca non può accettare, perché solo una cancellazione progressiva e legata al rispetto degli accordi potrebbe non essere rifiutata dal congresso. Si cerca la quadratura del cerchio, con il fiato sospeso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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