10 settembre 2015 09:17

A cavallo tra l’Iraq, la Siria e la Turchia si estende un’area popolata dai curdi. Questa zona sarebbe dovuta diventare uno stato indipendente all’epoca della divisione dell’impero ottomano, ma i vincitori della prima guerra mondiale lo impedirono. Da allora i curdi sono un popolo senza terra che conserva una grande aspirazione all’unità in uno stato con frontiere proprie.

In Turchia questa aspirazione provoca una grande paura, perché i turchi temono di perdere l’Anatolia e vedere ulteriormente ridotto il loro territorio dopo la caduta dell’impero. I turchi negano l’esistenza ai curdi che vivono nel loro paese e rappresentano quasi il 20 per cento della popolazione, rifiutandogli qualsiasi autonomia e perfino di usare la propria lingua. Negli anni la Turchia si è lasciata trascinare in una guerra civile con il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk, nato quarant’anni fa con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza con le armi e con il terrorismo.

Nel 1999, quando il conflitto aveva già provocato quarantamila morti, il leader storico del Pkk Abdullah Ocalan è stato condannato all’ergastolo. La guerra civile sembrava finita, ma in quest’ultimo periodo abbiamo assistito a una ripresa delle ostilità con un’inquietante serie di episodi violenti.

Il momento della verità

Sono due gli sviluppi che sembrano aver ridato fuoco alle polveri. Innanzitutto i conflitti mediorentali hanno restituito la speranza ai curdi di Turchia più radicali, che hanno visto il Kurdistan iracheno affermarsi in uno stato costituito de facto dopo la caduta di Saddam Hussein mentre i curdi siriani si sono separati da un paese sprofondato nel caos, e si sono affermati sempre di più, insieme ai curdi iracheni, come unica forza capace di opporsi sul campo ai jihadisti dello Stato islamico.

I curdi di Turchia sentono che questo è il momento della verità, un’occasione storica per vincere la battaglia per uno stato curdo indipendente e unitario, e a luglio hanno ripreso i loro attacchi contro l’esercito turco. La loro offensiva avrebbe potuto essere marginale, ma non è stato così perché il governo turco ha scelto di rispondere con la forza per motivi legati alla politica interna.

Un mese prima, alle legislative del 7 giugno, gli islamici conservatori dell’Akp avevano perso la maggioranza assoluta che detenevano da più di 12 anni. Per il loro capofila, il presidente Recep Tayyip Erdoğan, la sconfitta è stata tanto più catastrofica se consideriamo che aveva sperato di ottenere una maggioranza sufficiente per aumentare i suoi poteri presidenziali. A quel punto Erdoğan ha scelto deliberatamente di infiammare l’opinione pubblica puntando sul nazionalismo, anche perché a metterlo in minoranza era stato un partito curdo (Hdp, legalista, aperto e modernista), il tutto con le elezioni legislative anticipate in programma il primo novembre.

Negli ultimi due giorni sono state saccheggiate circa 400 sedi dell’Hdp. Gli uffici del grande quotidiano d’opposizione Hurriyet sono stati attaccati per due volte. Attizzato dall’alto, l’odio si diffonde nelle strade, complicando ulteriormente la situazione in Medio Oriente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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