01 dicembre 2015 09:14

L’apertura della conferenza sul clima Cop21 ha eclissato un altro evento molto importante. Domenica i leader di Turchia e Unione europea si sono messi d’accordo a Bruxelles sul contributo di Ankara al controllo dei migranti in viaggio verso l’Europa.

Gli europei cercavano questo accordo da mesi. La Turchia è infatti diventata il principale punto di passaggio dei migranti, che salpano dalle sue coste per raggiungere le isole greche su imbarcazioni di fortuna fornite a peso d’oro da trafficanti senza scrupoli che spesso abbandonano i disperati in mare aperto.

L’idea degli europei era quella di chiedere alla polizia turca di mettere ordine, interrogare i migranti e rimandare nel loro paese quelli che non hanno diritto d’asilo, ospitando i profughi siriani in condizioni decenti in attesa che possano entrare in Europa dopo la verifica dei documenti.

La Turchia non aveva avanzato obiezioni di principio, ma anche considerando che ospita già due milioni di profughi siriani voleva che l’Unione contribuisse al finanziamento delle misure richieste e che gli europei ricompensassero la sua buona volontà con un gesto politico.

Gli europei terrebbero comunque la porta chiusa perché, a torto o a ragione, non vogliono più nuovi membri nel club

Dopo lunghe settimane di trattative, domenica è arrivato l’accordo. L’Unione parteciperà con tre miliardi di euro (rinnovabili in base alle necessità) all’accoglienza dei profughi siriani in territorio turco, aprirà nuovi capitoli nei negoziati di adesione della Turchia all’Ue (fermi da tempo) e in base ai risultati dell’accordo potrebbe agevolare la concessione di visti per i turchi.

Il presidente turco e il primo ministro Ahmet Davutoğlu, suo rappresentante a Bruxelles, vogliono presentare l’accordo come un mezzo per rilanciare l’ingresso della Turchia. “È un giorno storico nel nostro processo di adesione”, ha dichiarato domenica Davutoğlu. Ma la realtà dei fatti è ben diversa.

L’Unione ha troppi problemi da risolvere per valutare realmente la possibilità di un allargamento, e inoltre l’adesione della Turchia è osteggiata dalla maggioranza dell’opinione pubblica e dei governi dell’Europa unita.

Per motivi legati alla politica interna e per guadagnare visibilità sulla scena internazionale, Erdoğan aveva bisogno di ostentare un rilancio dei negoziati, e l’Unione glielo ha concesso semplicemente perché aveva bisogno di lui. È stato un do ut des, dunque, ma anche una messa in scena, perché pure se dovesse andare avanti su alcuni capitoli il negoziato si fermerebbe inevitabilmente davanti alla questione del rispetto delle libertà, sempre più deboli in Turchia.

Con diversi giornalisti condannati o processati per terrorismo solo perché i loro articoli hanno irritato il capo dello stato, la Turchia non può certo pensare di entrare nell’Unione. Tra l’altro, anche se Ankara diventasse da un giorno all’altro una democrazia ineccepibile, gli europei terrebbero comunque la porta chiusa perché, a torto o a ragione, non vogliono più nuovi membri nel club, men che meno la Turchia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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