03 febbraio 2016 09:25

Non è ancora chiaro se basterà a convincere i britannici a votare contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione. Il primo ministro David Cameron, in ogni caso, è convinto che sarà così. A proposito delle proposte avanzate dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, Cameron ha dichiarato il 2 febbraio di credere che, una volta realizzate, gli permetteranno di convincere i suoi compatrioti a votare a favore dell’adesione di Londra all’Europa unita. Ma ancora non c’è niente di sicuro.

Il primo motivo d’incertezza è che queste proposte, che in teoria dovrebbero soddisfare le richieste britanniche senza modificare i trattati, non esaudiscono il desiderio degli eurofobi d’oltremanica, ovvero la possibilità che il loro paese continui a beneficiare dei vantaggi del mercato unico senza doversi sottomettere alle regole e ai vincoli di solidarietà imposti dall’unità europea.

Proposte insoddisfacenti

Questa è sempre stata l’aspirazione del Regno Unito, un’aspirazione che non sarebbe soddisfatta dalle proposte di Tusk. Per fare campagna contro la Brexit in occasione del referendum di giugno, Cameron aveva posto come prima condizione che per quattro anni il suo paese avesse la possibilità di non versare i sussidi agli immigrati europei che si sono stabiliti sul suo territorio.

Una concessione di questo tipo calpesterebbe i princìpi della libera circolazione all’interno dell’Unione e della parità di diritti dei cittadini europei, di conseguenza la richiesta è inaccettabile e Londra dovrà rinunciarvi.

Al massimo il Regno Unito, come tutti i paesi dell’Unione, potrà invocare un pericolo per i suoi conti pubblici (che dovrà essere dimostrato) per rendere progressivo il versamento di questi contributi. L’unica concessione fatta a Londra sarebbe il riconoscimento di questo pericolo come già esistente e dunque la possibilità di avvalersi del meccanismo previsto senza attendere.

I britannici non si pronunceranno su un nuovo trattato ma sull’uscita dall’Unione europea

La seconda condizione posta dal primo ministro era che il suo paese non fosse più legato all’obiettivo comune di “un’unione sempre più stretta”, e su questo punto Cameron ha ricevuto soddisfazione perché l’Unione è disposta a riconoscere che il Regno Unito non si impegnerà a realizzare un’integrazione europea “più serrata”. La terza condizione era che i parlamenti nazionali potessero opporsi alle decisioni comuni, e in questo caso il meccanismo proposto è estremamente restrittivo.

La quarta condizione, infine, era che le decisioni dell’eurozona non potessero coinvolgere i paesi che non ne fanno parte. Anche in questo caso Londra dovrebbe accontentarsi di una mezza misura, un quid pro quo in base al quale l’eurozona e gli altri paesi non dovranno danneggiare i rispettivi interessi in uno spirito di “rispetto reciproco” abbinato a clausole di contestazione particolarmente complesse.

Ma allora sarà Brexit o non Brexit? Ancora non lo sappiamo, e l’incertezza è aumentata dal fatto che i britannici non si pronunceranno su un nuovo trattato (come avevano fatto i francesi nel 2005) ma sull’uscita dall’Unione e dunque dal mercato comune. La posta in gioco è altissima, ma se la questione dell’immigrazione non sarà risolta entro giugno e se l’Unione continuerà a procedere in ordine sparso allora sì che la Brexit diventerà probabile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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