22 febbraio 2016 09:14

La battaglia comincia ora. Il primo ministro britannico ha ottenuto dagli altri 27 leader europei le concessioni che chiedeva per fare campagna a favore della permanenza del suo paese nell’Unione. La data del referendum è fissata (23 giugno, come previsto) e il 21 febbraio è partita la sfida, altamente incerta, tra sostenitori del sì e del no.

Il primo sondaggio effettuato dopo il compromesso di Bruxelles concede 15 punti di vantaggio al sì. Sembra un margine rassicurante, ma oltre al fatto che c’è un 19 per cento di indecisi, uno degli uomini politici più popolari del Regno Unito, il sindaco conservatore di Londra Boris Johnson, ha appena preso posizione per il no.

Storica ambivalenza

Johnson non l’avrebbe mai fatto se non avesse creduto di poter essere l’uomo decisivo per il trionfo del sentimento euroscettico, e a questo punto qualsiasi pronostico appare azzardato.

Da un lato i partigiani della Brexit scommettono sul disgusto che la maggior parte degli elettori prova per l’idea di un’Europa politica in cui il tutto avrebbe più peso delle parti.

I britannici sono affezionati al mercato comune (da cui traggono evidenti vantaggi) ma al contempo non vogliono che una maggioranza paneuropea possa imporgli decisioni sgradite. Il motivo di questa ambivalenza nasce dallo storico sospetto dei cittadini del regno nei confronti del continente, da sempre considerato fonte di guerre e problemi.

È meglio restare al tavolo per definire le regole del mercato comune piuttosto che subirle per non esserne esclusi

I britannici non hanno compreso che la loro insularità è ormai relativa nell’epoca dell’abolizione delle distanze e del tunnel sotto la Manica. I sostenitori dell’adesione, comunque, hanno argomenti solidi e sottolineano già che Cameron ha ottenuto da Bruxelles la possibilità per il Regno Unito di non essere più legato all’obiettivo di “un’unione sempre più stretta” e che è molto meglio restare al tavolo per definire le regole del mercato comune piuttosto che subirle per non esserne esclusi.

Non è tutto. Ogni stato membro ha il diritto di uscire dall’Unione, ma se i britannici faranno questa scelta bisognerà negoziare le condizioni della loro permanenza nel mercato comune, rivedere le leggi legate al progetto comunitario e soprattutto affrontare la possibilità di un’uscita della Scozia dal Regno Unito, perché contrariamente agli inglesi gli scozzesi sono estremamente legati all’Unione.

La battaglia, insomma, si annuncia incerta e dura. La crisi dei profughi peserà molto sul risultato finale, perché se l’Unione continuerà a sfaldarsi sarà sempre meno seducente. In tutto questo l’unica certezza è che, Brexit o meno, l’Unione potrà sopravvivere solo federando gli stati che vogliono accelerare il passo. L’Europa a più velocità non è solo un’opzione, ma una necessità assoluta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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