14 settembre 2016 09:40

Finalmente, in Siria, le armi hanno smesso di far fuoco, anche se non del tutto. La tregua chiesta il 9 settembre dagli Stati Uniti e dalla Russia regge ormai da trentasei ore, e se la situazione non cambierà prima del 19 settembre potrebbe tornare la speranza in questo paese devastato da cinque anni di guerra.

I combattimenti e i bombardamenti potrebbero riprendere in qualsiasi momento, ma se la tregua dovesse reggere, tra otto giorni gli statunitensi e i russi potrebbero coordinare i loro attacchi contro i movimenti jihadisti, il gruppo Stato islamico (Is) e l’ex Fronte al nusra, permettendo la ripresa dei negoziati di pace ed eventualmente la creazione di un governo di transizione incaricato di organizzare elezioni sotto il controllo della comunità internazionale. Tutte le ore che ci separano dal 19 settembre saranno cruciali.

Non è ancora il momento di esultare, ma ci sono tre motivi per non escludere che questa sia la volta buona per la pace in Siria.

Panorama più definito
Il primo è che l’Is è ormai sulla difensiva, dunque il regime di Damasco non potrà continuare a presentarsi come unica alternativa ai terroristi. Lentamente ma inesorabilmente, l’arretramento dello Stato islamico cancella l’ipoteca che faceva pesare sul conflitto, lasciando campo libero allo scontro frontale tra Bashar al Assad e la ribellione che vuole liberare il paese della sua abominevole dittatura. Il panorama siriano, insomma, diventa sempre più chiaro.

Il secondo motivo per cui un’uscita dalla crisi non appare più impossibile è che gli Stati Uniti sono pronti a tutto (anche a fare grandi concessioni alla Russia) pur di non doversi impegnare nuovamente in Medio Oriente. Washington non vuole saperne perché la regione è diventata molto meno vitale per i suoi interessi da quando il gas e il petrolio da scisti le assicurano l’indipendenza energetica. Su questo argomento esiste un consenso diffuso negli Stati Uniti, con Donald Trump e Hillary Clinton sulla stessa linea di Barack Obama.

Per Mosca è decisivo presentare Bashar al Assad come pari artefice del compromesso siriano

Il terzo motivo che rende plausibile la prospettiva di una soluzione è che Vladimir Putin ha tutto l’interesse a lavorare per la pace. Il Cremlino era intervenuto in Siria per dimostrare che la Russia e il suo esercito hanno ancora un peso sulla scena internazionale. Dopo aver affermato questo concetto salvando il regime di Damasco dalla caduta che rischiava un mese fa, il presidente russo ha addirittura spinto Washington a trattare con Mosca da pari a pari.

La Russia si è imposta nuovamente come la superpotenza alternativa agli Stati Uniti, e questo è un dato di fatto rispetto al quale la sorte di Bashar al Assad perde importanza per gli interessi di Mosca. Se riuscisse a trasformare il dittatore nell’artefice del compromesso siriano, la Russia potrebbe ristabilire i buoni rapporti con gli occidentali, far dimenticare la Crimea e cancellare le sanzioni che le sono state imposte dopo l’annessione.

In poche parole, Mosca potrebbe superare le sue gravi difficoltà economiche, e in questo modo Putin non avrebbe alcun problema a farsi rieleggere nel 2019. Il conflitto siriano non riguarda più solo la Siria, ed è per questo che possiamo timidamente sperare in una soluzione positiva.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Bernard Guetta sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre 2016.

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