30 settembre 2016 10:09

“Altre strade”: sì, ma quali? Sorpreso dal fallimento della tregua che aveva negoziato con Mosca e scottato dalla ripresa dei bombardamenti su Aleppo, il segretario di stato statunitense John Kerry ha sottolineato il 29 settembre che a questo punto continuare il dialogo con la Russia sarebbe assurdo e che gli Stati Uniti devono cercare altre strade in Siria.

Il suo vice, Antony Blinken, ha ricordato che Barack Obama ha chiesto nuove opzioni da “esaminare con attenzione”, ma in questo momento gli statunitensi non sembrano avere molta scelta.

Washington non può difendere Aleppo organizzando una zona di esclusione aerea su questa città-martire, perché così facendo l’aviazione statunitense rischierebbe di ritrovarsi faccia a faccia con quella russa, una situazione che non avrebbe precedenti e che comporterebbe grandi pericoli.

Gli americani non sono neanche nelle condizioni di fornire (o fare in modo che qualcun altro fornisca) missili antiaerei ai ribelli, perché ormai è plausibile che le correnti più moderate dell’insurrezione, sentendosi abbandonate dal resto del mondo, si rassegnino a fare fronte comune con i jihadisti e gli ex combattenti del gruppo Stato islamico.

Gli Stati Uniti non possono più capovolgere la situazione attaccando l’aviazione siriana: un’azione di questo tipo avrebbe pochi effetti, dato che sono sostanzialmente i russi a bombardare Aleppo.

Stati Uniti e Russia sono ai ferri corti come non lo sono mai stati dopo la crisi dei missili a Cuba

Se dal punto di vista militare gli Stati Uniti non possono fare molto, l’unica opzione che gli resta è quella di raccogliere il guanto di sfida su un altro terreno, precisamente in Europa. Dato che i russi non vogliono concedere nulla in Siria e che il loro comportamento è del tutto inammissibile, gli Stati Uniti potrebbero decidere di allargare le frontiere dell’Alleanza atlantica fino a quelle della Russia, rilanciando il processo di adesione dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia.

È una soluzione concreta, fortemente caldeggiata dai tre paesi coinvolti oltre che dalla Polonia e dagli stati baltici. Ma anche questa scelta comporterebbe grandi rischi, perché la Russia potrebbe accentuare le sue ingerenze in Ucraina e in Georgia annettendo altri territori e mettendo gli Stati Uniti davanti ad altri fatti compiuti a cui sarebbe difficile rispondere. In parole povere, stiamo entrando in una fase di profonda incertezza internazionale.

Gli Stati Uniti e la Russia sono ai ferri corti come non lo sono mai stati dopo la crisi dei missili a Cuba. Questo conflitto potrebbe generare fortissime tensioni, ma potrebbe anche condurre, tra qualche settimana o qualche mese, alla ricerca di una nuova intesa. Il problema è che Vladimir Putin avrà le mani libere fino all’insediamento del prossimo presidente americano (della prossima presidente, speriamo) che arriverà a fine gennaio, e che il calo della produzione deciso il 28 settembre dall’Opec potrebbe favorire un aumento del prezzo del petrolio.

Sarebbe un’ottima notizia per il presidente russo, che a quel punto potrebbe definitivamente convincersi di essere onnipotente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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